lunedì 23 marzo 2015

L'ultimo post

Cecilia Paredes
Ebbene sono sparita di nuovo.

Non so bene spiegarvi perché. E' che gli eventi mi hanno un po' sopraffatta. E senza nemmeno rendermene conto è passato Natale e poi l'anno nuovo e poi siamo in primavera di un anno dopo.
Vi ho lasciati con un ultimo post da delirio. Che immagine da mamma sull'orlo di una crisi di nervi.

Qualcuno può aver pensato che io sia finita in qualche clinica svizzera a farmi curare i nervi.
Son sempre in Svizzera, ma niente cliniche per esaurimenti nervosi.

Ora, il problema principale è che al blog non ci sto più dietro. Ma si era capito, no?

Il bebito ormai parla due lingue e, lasciatemelo dire, core de mamma: è adorabile. Facciamo un sacco di cose insieme e in generale ci divertiamo da matti. Giusto per dirvi che sì, si può. Si può avere un figlio e continuare ad avere una vita spumeggiante. E' così, ve lo garantisco. Perché la mia vita è pure troppo spumeggiante, tanto che non ci sto dietro. Nel senso che tra lavoro, bambino, cose varie ho un'agenda che lasciamostarevà. E giusto per non farmi mancare nulla, ho iniziato una nuova formazione in management culturale. E questo è uno dei principali motivi per cui ho mollato in blog. Appena ho un minuti libero, sono intenta a scrivere mission statement, definire i target di ipotetici progetti culturale e riempire tabelle Excel. Vi prego perdonatemi. Per l'assenza e per la deriva manageriale. Ma che ci vogliamo fare, la mia è sopravvivenza ai tempi moderni.

Di conseguenza...abbandono il blog. In pratica chiudo baracca.

Questo blog esiste praticamene da quando sono diventata mamma e ha continuato ad esistere fino a quando ho trovato una specie di equilibrio interno ed esterno. Un equilibrio tra il me mamma Rosi e il me Rosi e basta.

Diventare genitore è qualcosa di talmente epocalmente sconquassante che è quasi impossibile da spiegare. Bisogna viverlo, insomma. Non so per quale motivo non lo sapessi prima, o meglio, forse lo sapevo, ma non è che mi fosse così chiaro.

E' che a volte le mamme ci appaiono come creature perfette, angelicamente multitasking, che riescono a gestire tutto come se questo gli fosse stato dato in dotazione di base, insieme a tutto il corredo genetico. E quando scopri che per te non è così, ci resti un po' male.
Paul Klee, Mutter und Kind, 1938
Questo blog è nato per parlarvi della mia esperienza di madre "maternage", di madre Attachement parenting.
Ho allattato 22 mesi, ho portato mio figlio nella fascia fino a quando i miei cinquantuno chili e la mia schiena me l'hanno concesso, Ho dormito con mio figlio fino a quando il letto non è diventato troppo piccolo e ora, anche se lui ha quasi tre anni e il letto è comunque rimasto piccolo uguale, lo accogliamo sempre volentieri. Non ho mai lasciato piangere il mio bebé. Mai e poi mai.
Ho optato per l'autosvezzamento ed è stata la scelta più intelligente della mia vita. Il bebito che, ripeto, non ha ancora tre anni, ama la cucina lombardo-ticinese in tutte le sue forme (con un amore spassionato per i passati di verdura, minestroni e minestre) e non disdegna nemmeno quella coreana, indiana, vietnamita, messicana... echipiùneha.
Il mio bilancio Attachement parenting è quindi più che buono.
Nel tempo, però, mi sono anche allontanata dalle visioni "estreme" delle maternità a 360°. Ho imparato a ritagliare spazi per me, per me e mio marito, senza per questo sentirmi in colpa.
Ho sviluppato un lato frivolo e allegro (nei confronti della maternità, di me, del mondo) che pensavo di aver perso dai tempi dell'adolescenza. E invece l'ho ritrovato e, lasciatemelo dire, mi piace molto.
Frederic Leighton, Mother and Child, 1865
Ho smesso di leggere libri a tema educazione/maternità/eccetera. Credo che aver creato un legame sicuro con mio figlio, quando era un bebé, mi abbia spianato la strada. Adesso posso sfogliare Vogue senza sentirmi in colpa.

La maternità mi ha cambiata in un modo così profondo che a volte, stento persino a riconoscermi.

 La cosa importante di questo percorso è che io e il mio lui, l’abbiamo fatto insieme, siamo cambiati insieme. E’ strano come per una coppia, la nascita di un figlio, sia sempre vista come un arricchimento, la creazione di un nuovo e più profondo legame amoroso. 
In realtà un figlio ti cambia così profondamente che rimette in discussione ogni parte di te, ogni ambito del tuo mondo. E le coppie che scoppiano, secondo me, sono molte. Solo che nessuno lo dice.
Noi siamo stati fortunati: ci siamo stretti nella tempesta e ci siamo innamorati, ancora di più.
 
Marc Chagall, Place de la Concorde, 1952

Scritto tutto ciò, vi lascio dicendovi quello che, riflettendo, ho capito. Ho capito che ne vale la pena.
Diventare genitori non è un dovere e, ormai a livello sociale, non è nemmeno più indispensabile. Quello che però mi sento di dirvi è: fatelo! Perché è faticoso, ma è anche fighissimo. E se sarete così furbi e così forti, così pazzi da lasciarvi cambiare da vostro figlio, da non pensare che “bisogna che tutto torni al più presto come prima”, da accettare che ormai la vostra nave e salpata e NIENTE sarà più come prima, allora vedrete che tutto questo essere “nuovi”, “diversi” vi farà sentire partecipi di una felicità profonda. E’ una felicità fatta di cose quotidiane, ma  che ti apre il cuore, cambia le tue prospettive, alimenta il senso di tutte le cose. Siamo esseri in divenire e la genitorialità è il cardine di questo “divenire”.

Per quanto mi riguarda, per quello che mi sento di dirvi, per quello che io ho vissuto e sto vivendo, per quello che siamo diventati, per quello che eravamo, io ve lo dico di nuovo: mi sento una persona migliore. Sempre incasinata, pazza, disordinata, smemorata e nonostante ciò punto di riferimento, risolutrice di problemi, donna bionica che riesce a dormire niente e a fare tutto. E sono molto fiera di me. Fiera di noi.

Ci tengo anche a dirvi, però, che la mia maternità è stata scelta, pensata. Ho deciso di diventare madre e di prendermi il tempo per farlo. Nessuno me l’ha imposto: non la società, non l’amica incinta, non la suocera, non il mio compagno. L’ho scelto io. E se c’è una cosa che ho capito, durante tutto questo percorso, è che no, non siamo tutti uguali. Ognuno fa le proprie scelte e ognuno cerca di trovare il suo equilibrio e la sua voglia di fare e di vivere, in base alla scelte fatte. Pretendendo rispetto e comprensione.
Pablo Picasso, Madre e hijo, 1963
E’ stato bello scrivere. Mi sono divertita, ho conosciuto persone fantastiche grazie a questo blog. Ho parlato di me, sperando di arrivare al cuore di qualcuno.

Forse un giorno il Bebito  leggerà tutto ciò che ho scritto e si farà quattro risate.  O forse lo farà riflettere un po’. O forse non gliene potrà fregar di meno. Ma in fondo, chissenefrega. Lui farà come meglio vorrà.

Insomma io vi saluto tutti! E vi ringrazio. Davvero.
Un bacio

Rosi

Henry Moore, Draped Reclining Mother and Baby, 1983

martedì 21 ottobre 2014

Il buongiorno si vede dal mattino. L'inizio giornata di una mamma qualunque

Ci sono alcuni blog dove la vita sembra fatta di marzapane e marshmallows.  

Che invidia mi fanno. Mi fanno invidia, anche se so benissimo che è tutta un’illusione, che è tutta roba finta. A volte è bello, nonostante l’invidia (positiva, eh!), mettersi questi occhialoni rosa e guardare il mondo con le lenti graduate al lecca lecca.
E poi mi tira su di morale, soprattutto in giornate come questa. Giornate che iniziano con il botto, giornate sul genere “nononcelapossopropriofare”. Mattinate che ti mettono di spietatamente di fronte al lato oscuro della tua vita da mamma. Son cose belle.

immagine presa da internet
Ore 5.45 il bebito chiama incessantemente mamma dalla sua camera. Il papà, nonché mio marito, mi sveglia dal torpore e mi ricorda le mie responsabilità:  “amore, guarda che ti chiama”
“ah” dico io. E mi alzo.

“Vuole latte” dice il più piccolo dei tre. Va bene. Vado in cucina, prendo il latte e glielo porto.
“Vuole papà mamma” che in lingua bebitica significa “voglio venire nel vostro letto”.
Va bene. Lo prendo in braccio, mi trascino fino alla nostra camera, lo adagio in mezzo al letto.
Mi si arrotola addosso come un gattino e poi sembra addormentarsi. Che tenero, penso io, e mi rimetto a dormire.

Ore 6.00
“Vuole secca” che in lingua bebitica vuole dire “voglio la frutta secca”.


No, non va bene. Voglio dire, ma come ti viene in mente di voler mangiare frutta secca alle sei del mattino? Ma perché?
“No, amore, non vedi che è ancora notte? Non è un buon momento per mangiare frutta secca”.
“Nooooooooooooooo! Vuole seccaaaaaa”
“Amore mio, tutto il palazzo sta ancora dormendo, tuo padre sta dormendo, io gradirei dormire ancora giusto quell’oretta di grazia. Ti prego, la frutta secca te la do dopo”.

“Mmm” sembra convincersi. Si adagia sul cuscino, chiude gli occhietti. E’ fatta, penso io, e mi tiro il piumone fin sopra le orecchie.
E così proprio mentre stai per cadere nel migliore dei sonni…
“Mammaaaaaaa" dimmi amore mio "vuole secca".
“No, amore la frutta secca non te la do! E che caspita, sono le sei del mattino, ti prego!”
Nel frattempo mio marito finge di dormire.

Il bebito inizia a tirare calci, a tentare di graffiarmi e tirarmi i capelli. A questo punto sono incazzata come una iena. Son le sei e dieci e già sono incazzata.
“Fai come ti pare, io me vado a dormire sul divano!”.
Mi alzo a velocità supersonica, mi tiro a dietro il cuscino e vado sul divano. La sveglia suonerà alle sette, non mi farai perdere questi preziosissimi 45 minuti di sonno.
Arrivata sul divano, mi accomodo sotto la copertina di lana. Le speranze di dormire son poche, ma si sa che son sempre le ultime a morire.
“Mammmaaaaaa! Dov’è mammaaa” grida il bebito, mentre sento i suoi passettini veloci sul parquet.
Ed eccolo che arriva, salta sul divano e mi si accoccola a fianco.
“Puoi stare qui, basta che dormi”.
“Mmm” dice lui
“ Vuole secca”

E a questo punto cedo. Non so se sia giusto o sbagliato. So che sono le sei e un quarto e ho sonno.
“Basta, ho capito! Mi alzo e te la do questa caspita di frutta secca!”
Lui saltella allegro verso la cucina, io, oramai, preparo la colazione.
 
immagine presa da internet
Il papà si alza, prendiamo il caffè, facciam due chiacchiere, si prepara si veste, esce per andare al lavoro.
“Bene” dico al bebito che sta serenamente mangiando uva passa “ adesso ci prepariamo per andare all’asilo”. Tutto sembra tranquillo.
Cambio pannolino, vestizione completa, preparazione zainetto, lavaggio denti. Tutto sotto controllo.

“Vuole TV, poca eh!”
Vada per i cartoni, così almeno mi faccio una doccia in pace.

Mi lavo, mi vesto, mi trucco. Son pronta.
“Amore, adesso basta TV, mettiamo i Regenhosen  e andiamo”


I Regenhosen sono un accessorio indispensabile per l’asilo nel bosco, senza Regenhosen non si può fare. Di solito sono accompagnati dalla Regenjacke.

“No, mamma! Non piove”
“Ha piovuto tutta la notte, amore mio, il bosco è tutto bagnato. Bisogna mettere i Regenhosen”.
“No, no, no!”
“Si, si, si!”
E parto con tutta la filippica del perché bisogna andare all’asilo, perché bisogna mettersi i Regenhosen e la Regenjacke, anche se non piove. La butto sul gioco educativo “dai, mettiamo i pantaloni al contrario, che ridere!” oppure “ohhhhh! Allora me li metto io?”. E via di animazione.

“Noooooooo, noooo e noooooo” e inizia a correre per casa
E io inizio a rincorrerlo. Lo acchiappo, tento di infilargli i pantaloni. Lui sguscia, si dimena, scalcia. Io inizio a guardare l’orologio. Sai com’è…ho anche un lavoro e un cartellino da timbrare.
A questo punto lui non vuole più andare all’asilo, non vuole più mettersi i pantaloni, non vuole più. Tenta di nascondersi dietro alle tende. Senza successo, ovviamente.


Così partono tutte quelle assurdità che ogni genitore dice, ben sapendo che è la cosa più diseducativa e poco funzionale del mondo. Cose tipo “vabbé, io adesso me ne vado e ti lascio qui in casa da solo” (ah, ah, ah, come no!). Oppure “se non la smetti di fare così niente più frutta secca” (si, bé certo ci crediamo).

Niente sembra funzionare. Niente di niente. Nemmeno la mia finta dipartita giù per le scale. Niente.
E allora si ricomincia la corsa: lui scappa in camera sua, io lo inseguo. Cedo di nuovo: va bene non mettiamo i Regenhosen, ma adesso andiamo che la mamma deve andare al lavoro.
“No, non vuole” e scappa.
E allora sbrocco. E urlo come una pazza isterica cose tipo “adesso-mi-sono-rotta-andiamo-all’asilo-e-basta”. E grido così forte che poi mi gratta la gola e mi viene anche un po’ da piangere.
Lui non molla.

L’unica cosa che lo convince (tra le lacrime, le urla e pianti) è la minaccia di non portarlo a mangiare da una coppia di nostri amici (coppia di amici che lui adora e cena, per altro, già organizzata da un po’…mi vedo bene a chiamare per dire “hei, guarda stasera non veniamo. No, è che non voleva mettersi i pantaloni”).
Per lui questa è una minaccia estrema, tant’è che a che si fa mettere anche i Regenhosen.
Da casa mia all’asilo ci sono dieci minuti a piedi. Giunti al bosco bisogna percorrere una scalinata di legno. Tra le foglie cadute, i gradini bagnati e la mia aria sconvolta, scivolo. Il bebito riesce a reggersi, io finisco con il ginocchio per terra. Niente di grave, andiamo avanti che devo andare al lavoro.
immagine presa da internet
Ovviamente appena lui arriva nel bosco e vede gli altri bimbi ,tutti intenti a rotolarsi nel fango, mi molla la mano e parte a corsa. Ciao, amore mio. Buona giornata, eh!

Risalgo la scalinata. A metà mi devo fermare a riprendere fiato.  Ce la posso fare, se ci do dentro non arrivo nemmeno in ritardo.
Vado al parcheggio delle bici, inforco il bolide e parto verso l’ufficio. Sono dieci minuti di bici, tutti in salita. Ma, lo sport fa bene. Eh!

A metà della salita, e quando mi rendo conto che più agile di così non si può andare, mi viene un po’ di sconforto. Avrei voglia di girare la bici e correre in discesa, con il vento tra i capelli, senza meta. Avrei voglia di non fare tutta questa fatica.
Avrei voglia di essere una madre migliore, una persona migliore, una che sa sempre cosa fare o cosa dire. Avrei voglia di non farmi assalire da tutta questa malinconia.
Avrei voglia di un paio di rapporti ancora più agili, su questa caspita di biciletta. Solo che non funziona così. Ti devi arrangiare con la bici che hai.
E allora pedalo, che la salita è ancora lunga. Stringo i denti e vado avanti. E penso che senza salita, non ci sarebbero né la discesa, né la pianura. E che tutto sarebbe un gran piattume.
E che la malinconia fa parte della vita.
E che la storia di essere felici sempre, è una cazzata inventata nei nostri tempi.
E che alla fine ho solo dieci minuti di ritardo.

Chiudo la bici, entro in ufficio, timbro il cartellino.
Bene. Un’altra giornata è iniziata.

La Tremola

mercoledì 8 ottobre 2014

Love Boat: la mia prima (e ultima?) esperienza in crociera

Pensavate mi fossi persa nei meandri del mare, eh? E invece no! Rieccomi: influenzata, vagamente lunatica, un po' stanca (che di rientro dalle vacanze è normale, no?). Insomma, tutto come prima. A parte l'influenza che, devo dirlo, è la prima dell'anno. Bene.

Qualcuna mi ha chiesto dove fossi andata, argomento sul quale io avevo intenzione di glissare bellamente. E invece faccio outing: ebbene sì, sono stata in crociera.
Tananana! Vabbé, dai, si era capito.

Premetto che io e l'amica mia, ci siamo sempre concesse (di tanto in tanto) qualche vacanzina tra ragazze. Da quando è arrivato il bebito, lui si è aggiunto alle ragazze. L'anno scorso, ad esempio siamo state qui.
Quest'anno, causa impegni che non vi sto a dire, ci siamo messe d'accordo per una vacanzina tra girls alla fine di settembre. Ora, io cercavo qualcosa di economico e possibilmente baby friendly, lei qualcosa di interessante da visitare. E così tra le varie possibilità ci è venuta fuori questa pazza idea della crociera. Sì, siam pazze.

Dovete sapere che qui, in terra svizzerotedesca, le crociere sono cose esclusivamente riservate agli anziani. Agli anziani che amano le "club Ferien" (ovvero le vacanze al villaggio), per giunta.  Quindi non è che io abbia fatto una grande réclame del fatto che stessi per partir per mare. Sapete com'è.

Ora, vi assicuro che io non è che sia proprio il tipo da vacanze al villaggio. Ho fatto più o meno di tutto: dalle vacanze on the road nei peggiori motel del Massachusetts, al campeggio selvaggio, alle vacanze WOOF (figata! Fatele!) a quelle "nonhounsoldoiosperiamochemelacavo". La vacanza veramente trash, però, dico la verità mi mancava...In più l'idea di fare una settimana rilassante, trovare tutto pronto pronto e visitare ogni giorno una città diversa...mi sembrava buona e divertente.

Questa settimana sulla Costa Mediterranea, giuro, è stata assurdamente fenomenale. Non perché, ci sia piaciuta da morire, ma piuttosto perché siamo venute a conoscenza di cose delle quali nemmeno immaginavamo l'esistenza. O meglio, l'immaginavamo, ma non pensavamo fossero reali.
Mi permetto di procedere per punti.

1) Se non son grosse, non le vogliamo.

Che le navi da crociera fossero ENORMI è cosa risaputa. Basti pensare al gigante relitto della sfortunata Costa Concordia. Ricordo, tra l'altro, che anni fa vidi delle navi da crociera entrare nella laguna di Venezia e mi cadde la mascella. Insomma, cose che si sanno.

Quando sei dentro, quindi, orientarti è il primo del problemi. E per due come noi, che hanno il senso dell'orientamento di un valligiano ubriaco e l'esperienza di navi pari a quella di due svizzere, la cosa ha presentato qualche piccolo problemino.
Immaginatevi questi tre (che siamo noi tre) che pigiano nevroticamente tutti i bottoni dell'ascensore (12, per l'esattezza...no, dico 12 bottoni!), chi per capire "dove stiamo andando e cosa stiamo facendo" e chi per diletto (i bottoni dell'ascensore si son trasformati ben presto nell'hobby preferito del più piccolo del trio) per poi renderci tutti conto di essere sull'ascensore sbagliato. E chiedere informazioni tipo "scusi ma mi sa dire perché non trovo l'uscita, se qui c'è scritto che l'uscita è al ponte due e io sono al ponte due" "Perché l'uscita è a poppa e qui siamo a prua". Ah va bene, per poi guardarci con aria sperduta.
Abbiamo passato i primi due giorni, così: a capire dove caspita ci trovassimo e soprattutto a quale scopo. Spesso senza successo. Durante il pranzo del giorno due, la mia amica ha mangiato dadini di pomodoro, semplicemente perché si è persa al ponte 9, alla ricerca del buffet.
Ci siamo ripetute come un mantra quotidiano "Ok, ricapitoliamo: la poppa è quella dietro, la prua è quella davanti, dai cazzo, non è difficile! Ce la possiamo fare! Quindi da che parte dobbiamo andare?". E il bebito schiacciava i bottoni. Dopo una settimana la mia amica continuava a sostenere che la nave ogni tanto mettesse la retro.

2) Quanto mi piace il Kitsch

La piscina Cadmo. Almeno così mi pare
Anche il fatto che le navi da crociera fossero kitsch è cosa piuttosto risaputa. Certo nessuno si aspettava che fossero COSÌ kitsch. Colonne di plastica a perdita d'occhio, polipi scintillanti che escono dalle pareti, sale in stile simil egizio con tanto di bassorilievi con la faccia di Tutankhamon. E poi manichini vestiti da arlecchino e pulcinella, lampadari infinitamente rococò e finte statue greche. E poi Moquette. Tanta Moquette. Tutta la Moquette che riuscite ad immaginare. Moquette.
Ora, io voglio dire, nessuno pretende che si prendano i mobili di Le Corbusier per arredare le navi. Però, dai. Anche un po' meno andava bene.
Che poi, devo dire la vera verità, a me le navi han sempre fatto un po' impressione. Non so spiegare veramente perché. E' che mi danno l'idea di essere così...metalliche. Mi è capitato più volte nella vita di dover prendere dei traghetti, anche per viaggi lunghi. Traghetti spartani, niente tende in broccato, per intenderci. E mi ricordo un dedalo di porte, porticine, graticce e scalette in metallo. Tutti inaccessibili e misteriosi e, durante la notte, a tratti, anche un po' spaventosi.
Ecco le navi da crociera all'apparenza non sono così. Solo all'apparenza però. E' sufficiente essere abbastanza veloci da spiare una porta misteriosa che si apre, sfigurando su di una parete la faccia del Bacco di Caravaggio, per vedere che anche qui ci sono un sacco di porte metalliche. E' che ci hanno appiccicato sopra le colonne di plastica.

L'atrio. Quanta divina sobrietà

3) Love Boat


Una delle cose impressionanti delle navi da crociera è che c'è chi ci crede veramente. Cioè ci son quelli che son veramente convinti di essere su Love Boat. E loro, bisogna dirlo, si divertono un sacco.
Ci son quelle che sfoggiano vestiti che manco sul tappeto rosso a Cannes (e che poi si ritrovano sedute al bar a fianco ad un olandese in ciabatte), quelli che si fan fare il servizio fotografico dal fotografo di bordo e quelli che si spintonano per fare una foto al comandante. Io li ho visti davvero. E poi ci sono tutti i riti del caso, tipo far girare i tovaglioli sopra la testa quando parte la Traviata durante la cena (perché, gggiuro, son cose che succedono). Sulle note di "Tu vo fa l'americano" ho visto il trenino più lungo, che manco nei capodanni più trash della storia. Son cose vere, non vi sto prendendo in giro.
E poi, la domanda di rito sulla nave, è "quante crociere avete già fatto?". Perché il crocierista non è un vacanziere qualunque. Il crocierista è un crocierista. Ho sentito di gente che era alla ventesima crociera. No, non scherzo. C'è il crocierista critico ("la Costa Favolosa è tutta un'altra cosa"), il crocierista affezionato ("noi è la quinta crociera, tutte su questa nave), il crociersita spia-della-concorrenza ("shhh, io son sempre andato con la MSC, volevo vedere come era qui. Meglio di là), il crocierista-io-che-ci-faccio-qui ("ma, guardi è mia moglie che mi trascina. Io non ci verrei. Son pure in marina.") e il crocierista entusiasta ("si, noi son 10 anni con la Costa e ci siam sempre trovati benissimo. No, noi ai porti non scendiamo quasi mai"). E tutto questo crocierismo è contagioso, tant'è che ho sentito la mia amica dire cose tipo "la prossima volta però dobbiamo...". Per poi ripigliarsi subito dopo.

4) Magna che ti passa


Quando siam partite, tutto ci si aspettava fuorché di mangiar bene. Una cucina che sforna duemilaseicentoottanta coperti, non può essere efficiente. E invece, ve lo dico, si è mangiato da dio. Quanti aiutanti di babbo Natale siano nascosti nelle cucine non ci è dato sapere, sta di fatto che era tutto molto buono. Ma soprattutto era tutto molto. Ma molto, molto. Troppo. Insomma si magnava a nastro continuo. Con gli infiniti sprechi del caso. In fondo, come diceva la vecchia canzone, è Natale tutti i giorni o non è Natale mai.

5) Bambini, chi?

Il bebito e l'amica mia nei pressi dell'ascensore...

Come vi dicevo sopra, io ero alla ricerca di una vacanza baby friendly. Ecco, se era per questo ho toppato in pieno. Sappiate che i bambini piccoli sono accetti sulle navi da crociera come i topi sulle navi vichinghe. A partire dai tre anni, però, cambia tutto. Anche perché da quell'età li potrete scaricare al baby club dalle 9.00 alle 23.30, così almeno non daranno noia a nessuno e voi potrete finalmente rilassarvi. Perché si sa, i bambini sono una vera rottura di palle, no?  Sappiate anche che il baby club è una specie di scantinato kitsch (ma pensa un po') con schermo gigante e pista da ballo, in balia di animatori in camicia hawaiana e dall'aria un tantino "high" (come direbbero gli anglosassoni). Naturalmente lo scantinato è accessibile anche ai bambini più piccini, perché (hahaha nota polemica) presente un "parco giochi". Il parco giochi consiste in una quantità di giocattoli in plastica ed è comunque accessibile tipo dalle 9.00 alle 10.00 e dalle 18.00 alle 20.00. Per fortuna il bebito ha visitato ogni angolo delle città dove abbiamo attraccato e non ne ha avuto nessun bisogno. Ma ammetto che questa roba mi ha dato un bel po' su i nervi... come anche il fatto che ci fossero avvisi in ogni dove sui generis "per la tranquillità degli ospiti vi invitiamo a tenere sotto controllo i vostri bambini e a non farli correre sui ponti e sulle piste da ballo". Oppure "per la tranquillità degli ospiti i bambini possono fare il bagno solo nella piscina al ponte 11". Alta circa 10 centimetri e messa giusto nel luogo più ventoso della nave. Per non parlare poi del fatto che nei bagni della nave non ci fossero i fasciatoi. Che per me, abituata agli standard bernesi, pare pura fantascienza. Ma va bene. Evidentemente su Love Boat i bambini si fanno, non si portano.
(Mi permetto una piccola nota polemica. Anzi, mi permetto un po' di stronzaggine, visto che questo è il mio blog. Io lo capisco che uno si voglia rilassare un po' senza figli e che quindi di tanto in tanto parta lo sbolognamento al baby club. Ma vedere famiglie che mollano i pargoli full time nello scantinato, mi riempie di infinita tristezza. Se aggiungiamo poi il fatto che, spesso, questi genitori sono lavoratori e che quindi già durante l'anno non è che passino molto tempo con i loro figli...mi riempie di infinita e doppia tristezza. Che bello andare in vacanza con i bambini e non nonostante i bambini!).

6) Every day is Monday

 Altra nota decisamente dolente della crociera è il suo personale. Non perché sia maleducato o scorbutico, semplicemente perché è composto per la stragrande maggioranza da quasi-schiavi. La quasi totalità del personale è filippino, cinese, indiano, brasiliano... Parlo, ovviamente, del personale di servizio. Tutti sanno, più o meno inglese e tutti sono, più o meno, ignorati dal crocierista medio. Sono come tante piccole formiche che lavorano e lavorano. Perché se vi dovesse capitare di fare quest'esperienza e vi dovesse capitare di parlare per un tempo sufficientemene lungo con uno di loro (a volte fino a quando non arriverà un suo diretto superiore che con aria truce gli intimerà a muovere il fondoschiena) scoprirete che per loro ogni giorno è lunedì. Perché questi membri dell'equipaggio lavorano tutti i giorni, 11 ore al giorno, per 8 mesi. Senza mai un giorno intero di libero. Mai. E se gli chiedete come fanno, loro vi risponderanno che non è un problema. Sono abituati.
Mi sono un pochino documentata su questo argomento, di ritorno sulla terraferma. Dopo il naufragio della Concordia qualcuno ha parlato di questo argomento. Poi, evidentemente, i riflettori si sono spenti.

Detto ciò, ci tengo comunque a dirvi che lo svegliarsi ogni mattina in un luogo diverso è piuttosto attraente. E che noi siamo stati sulla terra ferma per tutto il tempo che ci è stato concesso, vedendo posti meravigliosi. E dondolando continuamente (almeno io, che ho sofferto di "mal de debarquement" o mal di terra, per diverse ore dopo ogni sbarco).
Ad esempio Napoli. L'ho rivisita, magnifica, in tutte le sue contraddizioni. O Marsiglia, di un fascino inaspettato.
Per le vie di Marsiglia

E poi c'è da dire che lo star per mare ha di per sé un grande charme. Le nuvole, quando sei lì in mezzo, sembrano fumo e tutto quel blu ha un'incantevole e poetica profondità.
E poi osservare tutto dall'alto: il volo degli uccelli e le altre navi al porto che sembrano piccine, piccine.

E quell'aria appiccicaticcia, la pelle che sa di sale.

Per la cronaca il bebito, nonostante tutte le restrizioni, si è divertito da pazzi. Tant'è che ora me lo ritrovo spesso seduto dentro al catino dei panni a "guidare la nave".

E ora vi lascio con questa. Lo so che la stavate aspettando.

p.s. ma la Love Boat, quanto era piccola? Cos'era un motoscafo??

sabato 20 settembre 2014

Ripartenze

Le vacanze non son finite. Anzi, qui stanno per iniziare. Gli svizzero tedeschi le chiamano "Herbstferien" (vacanze d'autunno), quelle che seguono appunto le Sommerferien (vacanze estive). Giusto così, per informarvi, i poveri ragazzi bernesi tornano sui banchi di scuola l'otto di agosto. Roba che a Ferragosto già ti sei dimenticato che ad un certo punto era estate. Che bello, eh?
Per compensare a questo piccolo torrido shock, i bernesi si concedono le vacanze autunnali: durano tre settimane e coprono il periodo tra la fine di settembre e l'inizio d'ottobre.
Se vi stavate giusto chiedendo come mai, sti "tedeschi", sono sempre in giro...avete appena capito il perché.
immagine presa da internet
Noi, visto che viviamo a cavallo tra le due culture, abbiamo deciso di concederci delle lunghe vacanze d'agosto e delle piccole vacanze autunnali, complice il fatto che la mamma ha ancora un bel po' di ferie da consumare. Il papà, invece, resterà a casa: di ferie da consumare non ne ha più, almeno fino a Natale.
E quindi saremo io, il bebito, l'amica mia e un trolley di dimensioni medio piccole. Non ci sto ancora credendo: sono riuscita a farci entrare tutto, le mie e le sue cose. Il pericolo di esplosioni è in agguato, ma amo follemente il rischio.

Mare stiamo arrivando.
No, non vi dirò specificatamente dove andremo. Mi vergogno un po'. Anzi, mi vergogno un bel po'.
Vi dico solo che son diventata lo zimbello dell'ufficio. Quando ho comunicato alla mia cara collega la mia "destinazione vacanza", ha riso talmente forte che son tremati i vetri. E vi assicuro che i bernesi non son famosi per le loro risate sguaiate. Andiam bene. L'altro collega mi ha fatto notare che questo genere di vacanza ha un notevole impatto ambientale. Facendomi sentire terribilmente in colpa. Giuro, che non so dirvi esattamente come ci sia saltata in mente questa roba qui. E' capitato, suvvia.
Paul Klee, Salon Tunisien, 1918
La cosa positiva è che non ho nessuna aspettativa: lo scopo della vacanza è spendere poco, prendere ancora un po' di sole e soprattutto rilassarsi. Tanto. Perché, tra una corsa nei boschi e l'altra, ne abbiamo davvero bisogno (che poi, voglio dire, tutti hanno sempre bisogno di una vacanza, no?).
E poi non voleremo, quindi l'impatto ambientale sarà piuttosto contenuto. L'importante è esserne convinti. Certo, come no.

Vabbè, domani si salpa. Ups. Volevo dire si parte.
Ci vediamo tra un po'. Aloha.

lunedì 8 settembre 2014

Happy Weekend

Io adoro il week end.


Lo so, è banale, anche perché alzi la mano che non ama i fine settimana. Non si lavora, si riposa, ci si prende il tempo per fare quello che più si ama, ci si prende il tempo per stare con quelli che più si ama.

Quando ero giovane a rampante, i fine settimana avevano tutt’altro significato: uscite, aperitivi, studio, cose varie. Grandi dormite e grandi ciondolamenti in pigiama per casa. Devo aggiungere che durante gli spumeggianti anni dell’università, il fine settimana non è che avesse un significato particolare: le lezioni si tenevano anche di sabato…ma non era un problema. Da studentessa universitaria era festa tutti giorni. Anzi il sabato sera spesso si stava in casa, giusto per evitare di uscire quando uscivano tutti. Bei tempi.

Finita l’università, il week end si è trasformato in un momento di estrema pausa, grande riposo e gran perdite di tempo, costellate (a volte) da qualche gita qua e là. La domenica era una specie di ponte tra il sabato sera e il ritorno in ufficio del lunedì.

Oggi che siamo una famiglia, il week end è il momento in cui facciamo le cose “in famiglia”, che detto così suona come una gran rottura. E invece è fichissimo. Ragionavo su questo ieri sera, mentre il bebito dormiva e il tempo era sufficientemente clemente da permetterci di stare sul balcone a sorseggiare un bicchierino di Braulio: questa “nuova” concezione delle domeniche in famiglia sarà anche un po’ borghese (per carità) però mi piace assai. E piace anche al papà e al bebito.

I ritmi rallentano, le colazioni si fanno abbondanti, ci si prende il tempo per baci e coccole, per togliersi il pigiama il più tardi possibile. Allo stesso modo ci si tiene in attività, si visitano mostre, si fa un giro in centro, si mangia il gelato.
E poi quando il tempo ci da una mano (come è stato per questo week end) non possiamo far altro che essere ancora più felici.

Sabato siamo andati alla ricerca di una nuova bici-scassata per la mamma (che sarei io).  La bici-scassata è un accessorio indispensabile in quel di Berna: è quella bicicletta che non metti in garage e non porti in cantina, che lasci fuori a subirsi le intemperie, che usi per i piccoli spostamenti quotidiani e che deve essere il meno appetibile possibile per ladri di biciclette. Dovete sapere, infatti, che Berna è la città Svizzera dove vengono rubato più biciclette (ben 1826 all’anno, contro le 191 rubate a Lugano) e dovete sapere anche che anch’io contribuisco mica male alla classifica con ben tre biciclette rubate (in 5 anni di permanenza). Dopo l’ennesimo furto subito mi son ritrovata a piedi, ed è per questo che sabato siamo andati alla Velobörse, ovvero il mercato delle bici usate promosso dall’associazione Pro Velo (che garantisce che nessuna delle bici vendute è stata rubata…noi ci crediamo).
www.pro-velo.ch
Vi assicuro che è un’esperienza spassosissima. Un capannone strapieno di bici e strapieno di gente, un cortile dove provare il bolide scelto e dove ci si può sentire un po’ alla partenza del giro d’Italia. Bici di ogni genere e tipo, buoni affari che vanno via come il pane.

www.pro-velo.ch
Avevo messo gli occhi su una bella Bianchi tutta blu. Mio marito però mi ha fatto notare che la Bianchi tutta blu ha la possibilità di non essere rubata attorno allo 0%. E quindi ho optato per una superbici (che funziona davvero bene), ma che è davvero, davvero brutta. Anche l’occhio vuole la sua parte, eh!


Che ne dite...è abbastanza brutta?
Sabato sera abbiamo mangiato specialità argentine a casa di amici per poi concederci un gelato nella gelateria migliore della città (dove il tempo d’attesa si aggira quasi sempre tra i 20 minuti e l’ora e mezza…anche a causa, bisogna dirlo, dell’imbranataggine delle signorine gelataie). 

foto www.annabelle.ch
Ci tengo a precisare, però, che ne vale davvero la pena e che il gelato, in terra bernese, resta qualcosa di affascinante ed esotico).
Domenica mattina non potevamo non concederci un brunch. Sì lo so, è di moda. Anche se in Svizzera tedesca è un’usanza piuttosto tradizionale. Diciamo che fare il brunch di domenica può considerarsi un bel passo verso l’integrazione. Mio marito, che rifugge da tutto ciò che è anche vagamente modaiolo, ha sempre fatto orecchie da mercante  alle mie insistenti proposte di brunch domenicale. Alla fine ha dovuto cedere. E così ci siamo gustati una supercolazione all’ora di pranzo, al ristorante del Museo Alpino Svizzero. Se passate di qui, fateci un salto.

Il Museo Alpino Svizzero era, fino a qualche anno fa, un luogo impolverato abitato da stambecchi e marmotte imbalsamate, cimeli di spedizioni alpine e plastici di montagne molto scenografici. Ci si poteva ammirare, anche, un magnifico Hodler.

F.Hodler: Aufstieg und Absturz
Poi ha subito un super restyling e oggi è un luogo molto fancy che ospita mostre d’arte contemporanea (sempre a tema alpino, naturalmente) e retrospettive. Ai nonni che ci portavano i nipotini per vedere i vecchi plastici di Jungfrau, Eiger e Mönch gli è preso un colpo, ma è il moderno che avanza, che ci vogliamo fare. Hodler, però, è rimasto!

Dove c’erano gli animali impagliati oggi c’è un localino molto, ma molto bellino.


Ogni tavolino ha il nome di una cima alpina e il brunch domenicale è caratterizzato da un buffet con formaggi (dell’Alpe, ovviamente), birchermüesli, salumi, marmellate tutti i gusti (alpini). 


www.alpinesmuseum.ch
E poi c’è anche la possibilità di mangiare un ottimo Rösti con uova e pancetta (o con uova e basta, per i vegetariani come me), condito da petali di fiori di montagna.

foto www.ronorp.ch
foto www.ronorp.ch
Insomma una vera chicca. Finito il Brunch si può fare un piacevole giretto al museo…

Noi finito il Brunch alpino, e con la pancia piena piena, ci siamo incamminati verso la piazza Federale, e lì abbiamo visto il Panorama-Kubus: una specie di cubo-cabina all’interno del quale viene proiettato il panorama di Berna a 360°, con l’aggiunta di qualche dettaglio di animazione (così che anche per il bebito l’esperienza si è trasformata in qualcosa di superdivertente).


www.derbund.ch
Di ritorno verso casa abbiamo fatto uno stop nel nostro giardino, giusto per fare qualche lavoretto qua e là e chiacchierando con qualche vicino di casa.


E poi, come vi ho detto, dopo aver cenato con una meravigliosa zuppa di zucca (fatta dal papà), abbiamo assaporato un bicchierino di Braulio, godendoci l’aria frizzantina.
Ecco. Questi sono i week end in famiglia che amo follemente…

Che ci posso fare, sto decisamente invecchiando.



lunedì 1 settembre 2014

L’ipocondria della gravida

E’ il primo settembre e da una settimana sono rientrata dalle vacanze. Quest’anno abbiamo deciso di concederci le ferie d’agosto, cosa che in Svizzera tedesca è tutt’altro che popolare. Ci siamo sentiti molto latini. E siccome siamo andati a Sud abbiamo anche avuto l’occasione di vedere il sole, almeno per un po’. Poi vabbé siam partiti con le infradito e siamo arrivati con il piumino. Questo si sapeva. No, non vi tedierò con le previsioni del tempo, tranquilli.


Di ritorno in ufficio mi sono messa ad elaborare tutto il lavoro arretrato e, credetemi, era tanto. Così, giusto per non perdermi nei meandri della carta, delle e-mail e delle telefonate, ho pensato bene di fare un po’ d’ordine (io e la parola ordine non apparteniamo allo stesso sistema solare, ma tant’è…). 
Così nel maldestro tentativo di mettere a posto i numerosissimi e incasinatissimi file del computer, è saltato fuori qualcosa di, diciamo così, privato. Uno di quei file che hai salvato sul computer del lavoro, nemmeno sai perché, e che adesso ti ritrovi ad aprire per vedere se è il caso di tenere o di buttare.

Ed è proprio così che è saltato fuori un mio vecchio post. Cioè un post scritto, ma mai pubblicato. Che carrambata, gente! Un articolino nato durante la mia gravidanza. Perché io questo blog ho cominciato a scriverlo dopo la nascita del bebito, sebbene già prima la voglia mi pizzicottava le dita. E così eccolo qua. E a leggerlo ora mi sembra una cosa così privata, così antica. Eppure non è mica passato un secolo, no?
Ve lo regalo. Godetevelo, perché è davvero simpatico (almeno così mi sembra. Sarà che l’ho scritto io). Indicato per donne in gravidanza. Tranquilli, non sono di nuovo incinta.

L’ipocondria della gravida

E’ cosa ormai risaputa: il nostro tempo è caratterizzato dalla paura. Più o meno qualunque cosa potrebbe ucciderci (si sa, la vita per sua natura è mortale).
Abbiamo paura di ammalarci, paura di perdere il lavoro, paura di essere derubati, paura di un po’ di tutto, insomma.

Ma il fatto che ora, che aspetto un bambino (e già!), io sia un po’ disturbata da timori (un po’ disturbata è la cosa migliore che mi sia uscita, diciamo che oscillo dal terrore all’inebetita beatitudine) questo è quanto meno stranino. Ci ho pensato molto, in effetti. E sono giunta alla conclusione che, per quanto probabilmente affetta da “ipocondria della gravida”, (malattia che mi sono inventata in questo momento, e che forse presto sarà inserita nel DSM, se già non c’è) la colpa è mia solo in parte. Nel senso che “l’ipocondria della gravida” è un fenomeno sociale. O meglio una diffusa malattia sociale. Mi spiego: sarà che tutti amiamo le storie dell’orrore (e anche qui ci sarebbe da pensarci un po’ su), sarà che ognuno ha sempre qualcosa da dire, sarà anche che la gravidanza altrui provoca tanta felicità ma anche tanta invidia (o almeno credo), sta di fatto che dal momento in cui ho fatto il mio “coming out” a tre mesi suonati di gravidanza (tre mesi in cui l’ho tenuta nascosta come il terzo segreto di Fatima, anche quando mi hanno trovata buttata a polipo sulla fotocopiatrice in preda alla nausea), dopo i bacetti, le congratulazioni e la “tanta felicità” arriva la fase “io ne ho una da raccontarti”. Ed ecco che nasce l’ipocondria della gravida, come fenomeno sociale.

Qui di seguito riporto qualche esempio:

“Hai già pensato al parto??” (oddio,no, ancora non ci ho pensato, sono di tre mesi!)
“No perché, una mia amica ha appena partorito. Poverina (cominciamo bene!) sai, lei pensava che insomma, sì è una cosa dolorosa, ma si fa! Sai poi lei si è preparata molto ed è anche una tipa molto, molto sportiva. Comunque è andata malissimo “ (E qui mi fermo…vi risparmio i dettagli trucidi).

“Ohhh che bello sei incinta?? Senti lo vuoi un consiglio (ma anche no!) non ingrassare tanto, io conosco una che è diventata una balena gigante e non è mai riuscita a perdere i chili di troppo…ti consiglio di prendere al massimo…8 kg? (sì cara, e sti gran cazzi…scusate la volgarità.)

“Ohhhh, che bello sei incinta! Spero che vada tutto bene, sai una mia amica poverina ha perso il bambino che era di 5 mesi. Poverina". (Grazie per la notizia, mi mancava, ora sono moooolto più serena).
E via di seguito.

Come se non bastasse poi esiste questa gran bella cosa che è l’internet (e sì, con l’articolo). Grande fonte 
d’ informazione e di ipocondria della gravida dilagante. Sull’internet le leggi tutte, le senti tutte, tutte ma proprio tutte. L’internet rappresenta la migliore cassa di risonanza di ansie generalizzate. Grazie all’internet ho perso il sonno più di una volta. E grazie all’internet ho scoperto che “l’ipocondria della gravida” dilaga indisturbata e c’è chi è in fase molto più acuta della mia.

Ma lasciate che vi racconti una storia, giusto per tranquillizzarvi.

Dunque, sono all’inizio, inizio, tipo di 7 settimane. Primo controllo fatto, è tutto ok. Tanta felicità. Venerdì sera: vengo presa da dolori al basso ventre, direi piuttosto fastidiosi. So che i dolori all’inizio sono normali, me l’ha detto il medico. Vado a fare pipì e sulle mutande trovo una crosticina rossa tipo caccola del naso. Panico. Cerco di non pensarci. Panico. Analizzo la crosta e mi dico “ma dai, cosa vuoi che sia”. Panico. Cerco di distrarmi. Panico. Torna a casa il mio compagno dal lavoro, gli dico che ho dei dolori e che ho trovato la crosta. Nessuna reazione particolare.
Vado sull’internet alla ricerca di delucidazioni. Leggo su un forum “anche a me è successo ecc..ecc.. “ e la storia ha un finale horror. Ora sono veramente in panico.

Il mio compagno è all’oscuro della mia consultazione sull’Internet, se dovesse scoprirlo la storia potrebbe avere un finale horror, ma in un altro senso.
Vado a letto. Non dormo. Giungo alla conclusione che “vabbé è successo a tante prima di me, ci riproveremo presto”. Sabato mattina, tiro giù lui dal letto: “ io vado al pronto soccorso”. Occhi assonnati “va bene, ma prima facciamo colazione”, “ no, andiamo subito…vabbé prendo il caffè”. Andiamo al pronto soccorso (che è a circa 300 metri da casa, molto positivo se affetti da ipocondria della gravida), aspettiamo 2 ore (tante scuse ma purtroppo la ginecologa di turno ha avuto un urgenza ed è in sala operatoria). Nel frattempo un lampo mi attraversa la mente: e se non fosse niente? E se sono veramente fuori? E se non fossi andata sull’internet? E se così fosse, sull’Internet non ci andrò mai più! (Come no!).
Arriva il mio turno, mi tremano le gambe. Racconto al medico dei dolori e delle crosticina. 

Mi fa immediatamente un’ecografia. Mi prende o il sangue. Mi rivolta come una calza. Conclusione: è tutto ok. Forse i dolori sono provocati da una ciste che ho in un’ovaia (e che ho da un po’), forse sono i normali dolori dell’inizio della gravidanza. “E la crosticina rossa?”. Il medico fa spallucce, come a dire “e io che cacchio ne so”. Bene.
Ci ho pensato su. Credo che la crosticina fosse veramente una caccola del naso. Sono andata al pronto soccorso per una caccola.


Sono ufficialmente fuori.

lunedì 21 luglio 2014

Profumi d'estate

Non so come sia per voi, ma a me l’incontro spontaneo e inaspettato di cose belle mette di buon umore. E per cose belle e inaspettate intendo cose piccole, apparentemente insignificanti. Per esempio può capitarmi che mentre cammino nel bosco, mi ritrovi davanti a un coniglio, a una cincia, a uno scoiattolo. Niente di tanto speciale, in un bosco. Mentre sei lì a camminare distrattamente, però, non immagini di poter scrutare da vicino il respiro di una cincia, il rosicchiare di uno scoiattolo, lo zompettare di un coniglio. Ed è proprio questo a renderli speciali, a renderli terribilmente belli. E capita che tutto questo mi risollevi, all’improvviso, la giornata.

Marco M. Verzasconi, Punto di domanda, 2011. Tecnica mista su tela 40X40

Lo scorso week end siamo stati a Londra, al matrimonio di un’amica cara. E’ stato bello. E’ stato bello rivedere vecchi amici, incontrare gli sposi così radiosi di felicità, e ritrovarsi un po’ cambiati, ma solo un po’. E’ stato bello vedere il bebito felice di essere spupazzato da tutti. E’ stato bello capire che a noi tre la grande città ci fa un baffo, anche quando si tratta di ingegnarsi per giornate intere tra metropolitane, bus, treni e aerei. Non senza stanchezza, ovviamente.  Abbiamo appurato che si può fare: si può fare un week end festaiolo e metropolitano, anche con pargolo al seguito. Alla faccia di quelli che ci dicevano che “poi vedrete, con un bambino queste cose ve le dovrete dimenticare”. E’ stato bello capire che no, non è così.

London Banksy
E poi, tornando a parlarvi di cose belle e inaspettate, mi è capitato di incontrare questo manifesto:

Altro non è che una comunicazione dell’agenzia dei trasporti londinese, atta ad avvisare che a causa dell’arrivo del Tour de France, alcune strade saranno chiuse e alcune stazioni non saranno servite.  Una sorta di avviso, insomma. Un cartello utile, una nota, nato al semplice scopo di creare meno caos possibile, in una città gigantesca; una metropoli che ha deciso di ospitare un evento così importante e logisticamente così complesso.

Ed è proprio questa la bellezza inaspettata, quella che ti risolleva la giornata, che ti fa dire “wow” ad alta voce. Non si è mai veramente preparati a trovare tanta eleganza in una comunicazione di servizio. Un’opera d’arte metropolitana.

E ora siamo nel pieno del Tour de France, che si sta portando con sé il suo profumo d’estate. Perché io i miei lugli di bambina li ricordo così: profumati, caldi di vacanze. E ricordo mio nonno che metteva la televisione su un carrello, tirava i cavi e improvvisava un’antenna, per poter guardare il Tour anche in giardino.  E le ore pigre erano scandite da colpi di pedale televisivi. 

Foto di Jered&Ashley Gruber http://www.gruberimages.pro/
La bella stagione, con i primi caldi e le prime uscite, iniziava a maggio con il Giro d’Italia e si chiudeva settembre con il giro di Lombardia. E in questo periodo la TV era costantemente monopolizzata dai ciclisti, nei tempi in cui di TV in casa era normale ce ne fosse una sola. E io e il nonno finivamo per litigare, soprattutto su quelle tappe noiose dove non succedeva nulla di nulla e io avrei preferito cambiare canale, o farla tacere per una buona volta quella caspita di TV. Nonostante a tratti l’abbia odiato, a tratti amato, a tratti sia stato un semplice rumore di fondo, il ciclismo è stato parte integrante delle mie estati, un’abitudine familiare.  
Foto di Jered&Ashley Gruber http://www.gruberimages.pro/

Poi il destino mi ha fatto incrociare lui (mio marito), che guarda caso è appassionato di ciclismo. Ed è così che dal Giro al Tour, qui ritmiamo le nostre serate con le repliche delle tappe. E io lotto contro il sonno per riuscire a resistere fino all’arrivo. Non sempre ci riesco, lo ammetto. Ma è bello vedere come certe cose cambino, rimanendo in fondo sempre le stesse. Un giorno ricorderemo le nostre fredde estati bernesi, con la finestra sul balcone spalancata, noi seduti fuori (ben coperti, eh!), una birra o un bicchiere di sciroppo di sambuco, stretti, stretti a guardare il Tour de France.

Foto di Jered&Ashley Gruber http://www.gruberimages.pro/
P.s. Grande Nibali! E tanta forza!

P.s 2 le foto che vedete sono di Jered&Ashley Gruber, due giramondo appassionati del più bello degli sport. Andate a dare un'occhiata al loro sito, ne vale la pena



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