sabato 20 settembre 2014

Ripartenze

Le vacanze non son finite. Anzi, qui stanno per iniziare. Gli svizzero tedeschi le chiamano "Herbstferien" (vacanze d'autunno), quelle che seguono appunto le Sommerferien (vacanze estive). Giusto così, per informarvi, i poveri ragazzi bernesi tornano sui banchi di scuola l'otto di agosto. Roba che a Ferragosto già ti sei dimenticato che ad un certo punto era estate. Che bello, eh?
Per compensare a questo piccolo torrido shock, i bernesi si concedono le vacanze autunnali: durano tre settimane e coprono il periodo tra la fine di settembre e l'inizio d'ottobre.
Se vi stavate giusto chiedendo come mai, sti "tedeschi", sono sempre in giro...avete appena capito il perché.
immagine presa da internet
Noi, visto che viviamo a cavallo tra le due culture, abbiamo deciso di concederci delle lunghe vacanze d'agosto e delle piccole vacanze autunnali, complice il fatto che la mamma ha ancora un bel po' di ferie da consumare. Il papà, invece, resterà a casa: di ferie da consumare non ne ha più, almeno fino a Natale.
E quindi saremo io, il bebito, l'amica mia e un trolley di dimensioni medio piccole. Non ci sto ancora credendo: sono riuscita a farci entrare tutto, le mie e le sue cose. Il pericolo di esplosioni è in agguato, ma amo follemente il rischio.

Mare stiamo arrivando.
No, non vi dirò specificatamente dove andremo. Mi vergogno un po'. Anzi, mi vergogno un bel po'.
Vi dico solo che son diventata lo zimbello dell'ufficio. Quando ho comunicato alla mia cara collega la mia "destinazione vacanza", ha riso talmente forte che son tremati i vetri. E vi assicuro che i bernesi non son famosi per le loro risate sguaiate. Andiam bene. L'altro collega mi ha fatto notare che questo genere di vacanza ha un notevole impatto ambientale. Facendomi sentire terribilmente in colpa. Giuro, che non so dirvi esattamente come ci sia saltata in mente questa roba qui. E' capitato, suvvia.
Paul Klee, Salon Tunisien, 1918
La cosa positiva è che non ho nessuna aspettativa: lo scopo della vacanza è spendere poco, prendere ancora un po' di sole e soprattutto rilassarsi. Tanto. Perché, tra una corsa nei boschi e l'altra, ne abbiamo davvero bisogno (che poi, voglio dire, tutti hanno sempre bisogno di una vacanza, no?).
E poi non voleremo, quindi l'impatto ambientale sarà piuttosto contenuto. L'importante è esserne convinti. Certo, come no.

Vabbè, domani si salpa. Ups. Volevo dire si parte.
Ci vediamo tra un po'. Aloha.

lunedì 8 settembre 2014

Happy Weekend

Io adoro il week end.


Lo so, è banale, anche perché alzi la mano che non ama i fine settimana. Non si lavora, si riposa, ci si prende il tempo per fare quello che più si ama, ci si prende il tempo per stare con quelli che più si ama.

Quando ero giovane a rampante, i fine settimana avevano tutt’altro significato: uscite, aperitivi, studio, cose varie. Grandi dormite e grandi ciondolamenti in pigiama per casa. Devo aggiungere che durante gli spumeggianti anni dell’università, il fine settimana non è che avesse un significato particolare: le lezioni si tenevano anche di sabato…ma non era un problema. Da studentessa universitaria era festa tutti giorni. Anzi il sabato sera spesso si stava in casa, giusto per evitare di uscire quando uscivano tutti. Bei tempi.

Finita l’università, il week end si è trasformato in un momento di estrema pausa, grande riposo e gran perdite di tempo, costellate (a volte) da qualche gita qua e là. La domenica era una specie di ponte tra il sabato sera e il ritorno in ufficio del lunedì.

Oggi che siamo una famiglia, il week end è il momento in cui facciamo le cose “in famiglia”, che detto così suona come una gran rottura. E invece è fichissimo. Ragionavo su questo ieri sera, mentre il bebito dormiva e il tempo era sufficientemente clemente da permetterci di stare sul balcone a sorseggiare un bicchierino di Braulio: questa “nuova” concezione delle domeniche in famiglia sarà anche un po’ borghese (per carità) però mi piace assai. E piace anche al papà e al bebito.

I ritmi rallentano, le colazioni si fanno abbondanti, ci si prende il tempo per baci e coccole, per togliersi il pigiama il più tardi possibile. Allo stesso modo ci si tiene in attività, si visitano mostre, si fa un giro in centro, si mangia il gelato.
E poi quando il tempo ci da una mano (come è stato per questo week end) non possiamo far altro che essere ancora più felici.

Sabato siamo andati alla ricerca di una nuova bici-scassata per la mamma (che sarei io).  La bici-scassata è un accessorio indispensabile in quel di Berna: è quella bicicletta che non metti in garage e non porti in cantina, che lasci fuori a subirsi le intemperie, che usi per i piccoli spostamenti quotidiani e che deve essere il meno appetibile possibile per ladri di biciclette. Dovete sapere, infatti, che Berna è la città Svizzera dove vengono rubato più biciclette (ben 1826 all’anno, contro le 191 rubate a Lugano) e dovete sapere anche che anch’io contribuisco mica male alla classifica con ben tre biciclette rubate (in 5 anni di permanenza). Dopo l’ennesimo furto subito mi son ritrovata a piedi, ed è per questo che sabato siamo andati alla Velobörse, ovvero il mercato delle bici usate promosso dall’associazione Pro Velo (che garantisce che nessuna delle bici vendute è stata rubata…noi ci crediamo).
www.pro-velo.ch
Vi assicuro che è un’esperienza spassosissima. Un capannone strapieno di bici e strapieno di gente, un cortile dove provare il bolide scelto e dove ci si può sentire un po’ alla partenza del giro d’Italia. Bici di ogni genere e tipo, buoni affari che vanno via come il pane.

www.pro-velo.ch
Avevo messo gli occhi su una bella Bianchi tutta blu. Mio marito però mi ha fatto notare che la Bianchi tutta blu ha la possibilità di non essere rubata attorno allo 0%. E quindi ho optato per una superbici (che funziona davvero bene), ma che è davvero, davvero brutta. Anche l’occhio vuole la sua parte, eh!


Che ne dite...è abbastanza brutta?
Sabato sera abbiamo mangiato specialità argentine a casa di amici per poi concederci un gelato nella gelateria migliore della città (dove il tempo d’attesa si aggira quasi sempre tra i 20 minuti e l’ora e mezza…anche a causa, bisogna dirlo, dell’imbranataggine delle signorine gelataie). 

foto www.annabelle.ch
Ci tengo a precisare, però, che ne vale davvero la pena e che il gelato, in terra bernese, resta qualcosa di affascinante ed esotico).
Domenica mattina non potevamo non concederci un brunch. Sì lo so, è di moda. Anche se in Svizzera tedesca è un’usanza piuttosto tradizionale. Diciamo che fare il brunch di domenica può considerarsi un bel passo verso l’integrazione. Mio marito, che rifugge da tutto ciò che è anche vagamente modaiolo, ha sempre fatto orecchie da mercante  alle mie insistenti proposte di brunch domenicale. Alla fine ha dovuto cedere. E così ci siamo gustati una supercolazione all’ora di pranzo, al ristorante del Museo Alpino Svizzero. Se passate di qui, fateci un salto.

Il Museo Alpino Svizzero era, fino a qualche anno fa, un luogo impolverato abitato da stambecchi e marmotte imbalsamate, cimeli di spedizioni alpine e plastici di montagne molto scenografici. Ci si poteva ammirare, anche, un magnifico Hodler.

F.Hodler: Aufstieg und Absturz
Poi ha subito un super restyling e oggi è un luogo molto fancy che ospita mostre d’arte contemporanea (sempre a tema alpino, naturalmente) e retrospettive. Ai nonni che ci portavano i nipotini per vedere i vecchi plastici di Jungfrau, Eiger e Mönch gli è preso un colpo, ma è il moderno che avanza, che ci vogliamo fare. Hodler, però, è rimasto!

Dove c’erano gli animali impagliati oggi c’è un localino molto, ma molto bellino.


Ogni tavolino ha il nome di una cima alpina e il brunch domenicale è caratterizzato da un buffet con formaggi (dell’Alpe, ovviamente), birchermüesli, salumi, marmellate tutti i gusti (alpini). 


www.alpinesmuseum.ch
E poi c’è anche la possibilità di mangiare un ottimo Rösti con uova e pancetta (o con uova e basta, per i vegetariani come me), condito da petali di fiori di montagna.

foto www.ronorp.ch
foto www.ronorp.ch
Insomma una vera chicca. Finito il Brunch si può fare un piacevole giretto al museo…

Noi finito il Brunch alpino, e con la pancia piena piena, ci siamo incamminati verso la piazza Federale, e lì abbiamo visto il Panorama-Kubus: una specie di cubo-cabina all’interno del quale viene proiettato il panorama di Berna a 360°, con l’aggiunta di qualche dettaglio di animazione (così che anche per il bebito l’esperienza si è trasformata in qualcosa di superdivertente).


www.derbund.ch
Di ritorno verso casa abbiamo fatto uno stop nel nostro giardino, giusto per fare qualche lavoretto qua e là e chiacchierando con qualche vicino di casa.


E poi, come vi ho detto, dopo aver cenato con una meravigliosa zuppa di zucca (fatta dal papà), abbiamo assaporato un bicchierino di Braulio, godendoci l’aria frizzantina.
Ecco. Questi sono i week end in famiglia che amo follemente…

Che ci posso fare, sto decisamente invecchiando.



lunedì 1 settembre 2014

L’ipocondria della gravida

E’ il primo settembre e da una settimana sono rientrata dalle vacanze. Quest’anno abbiamo deciso di concederci le ferie d’agosto, cosa che in Svizzera tedesca è tutt’altro che popolare. Ci siamo sentiti molto latini. E siccome siamo andati a Sud abbiamo anche avuto l’occasione di vedere il sole, almeno per un po’. Poi vabbé siam partiti con le infradito e siamo arrivati con il piumino. Questo si sapeva. No, non vi tedierò con le previsioni del tempo, tranquilli.


Di ritorno in ufficio mi sono messa ad elaborare tutto il lavoro arretrato e, credetemi, era tanto. Così, giusto per non perdermi nei meandri della carta, delle e-mail e delle telefonate, ho pensato bene di fare un po’ d’ordine (io e la parola ordine non apparteniamo allo stesso sistema solare, ma tant’è…). 
Così nel maldestro tentativo di mettere a posto i numerosissimi e incasinatissimi file del computer, è saltato fuori qualcosa di, diciamo così, privato. Uno di quei file che hai salvato sul computer del lavoro, nemmeno sai perché, e che adesso ti ritrovi ad aprire per vedere se è il caso di tenere o di buttare.

Ed è proprio così che è saltato fuori un mio vecchio post. Cioè un post scritto, ma mai pubblicato. Che carrambata, gente! Un articolino nato durante la mia gravidanza. Perché io questo blog ho cominciato a scriverlo dopo la nascita del bebito, sebbene già prima la voglia mi pizzicottava le dita. E così eccolo qua. E a leggerlo ora mi sembra una cosa così privata, così antica. Eppure non è mica passato un secolo, no?
Ve lo regalo. Godetevelo, perché è davvero simpatico (almeno così mi sembra. Sarà che l’ho scritto io). Indicato per donne in gravidanza. Tranquilli, non sono di nuovo incinta.

L’ipocondria della gravida

E’ cosa ormai risaputa: il nostro tempo è caratterizzato dalla paura. Più o meno qualunque cosa potrebbe ucciderci (si sa, la vita per sua natura è mortale).
Abbiamo paura di ammalarci, paura di perdere il lavoro, paura di essere derubati, paura di un po’ di tutto, insomma.

Ma il fatto che ora, che aspetto un bambino (e già!), io sia un po’ disturbata da timori (un po’ disturbata è la cosa migliore che mi sia uscita, diciamo che oscillo dal terrore all’inebetita beatitudine) questo è quanto meno stranino. Ci ho pensato molto, in effetti. E sono giunta alla conclusione che, per quanto probabilmente affetta da “ipocondria della gravida”, (malattia che mi sono inventata in questo momento, e che forse presto sarà inserita nel DSM, se già non c’è) la colpa è mia solo in parte. Nel senso che “l’ipocondria della gravida” è un fenomeno sociale. O meglio una diffusa malattia sociale. Mi spiego: sarà che tutti amiamo le storie dell’orrore (e anche qui ci sarebbe da pensarci un po’ su), sarà che ognuno ha sempre qualcosa da dire, sarà anche che la gravidanza altrui provoca tanta felicità ma anche tanta invidia (o almeno credo), sta di fatto che dal momento in cui ho fatto il mio “coming out” a tre mesi suonati di gravidanza (tre mesi in cui l’ho tenuta nascosta come il terzo segreto di Fatima, anche quando mi hanno trovata buttata a polipo sulla fotocopiatrice in preda alla nausea), dopo i bacetti, le congratulazioni e la “tanta felicità” arriva la fase “io ne ho una da raccontarti”. Ed ecco che nasce l’ipocondria della gravida, come fenomeno sociale.

Qui di seguito riporto qualche esempio:

“Hai già pensato al parto??” (oddio,no, ancora non ci ho pensato, sono di tre mesi!)
“No perché, una mia amica ha appena partorito. Poverina (cominciamo bene!) sai, lei pensava che insomma, sì è una cosa dolorosa, ma si fa! Sai poi lei si è preparata molto ed è anche una tipa molto, molto sportiva. Comunque è andata malissimo “ (E qui mi fermo…vi risparmio i dettagli trucidi).

“Ohhh che bello sei incinta?? Senti lo vuoi un consiglio (ma anche no!) non ingrassare tanto, io conosco una che è diventata una balena gigante e non è mai riuscita a perdere i chili di troppo…ti consiglio di prendere al massimo…8 kg? (sì cara, e sti gran cazzi…scusate la volgarità.)

“Ohhhh, che bello sei incinta! Spero che vada tutto bene, sai una mia amica poverina ha perso il bambino che era di 5 mesi. Poverina". (Grazie per la notizia, mi mancava, ora sono moooolto più serena).
E via di seguito.

Come se non bastasse poi esiste questa gran bella cosa che è l’internet (e sì, con l’articolo). Grande fonte 
d’ informazione e di ipocondria della gravida dilagante. Sull’internet le leggi tutte, le senti tutte, tutte ma proprio tutte. L’internet rappresenta la migliore cassa di risonanza di ansie generalizzate. Grazie all’internet ho perso il sonno più di una volta. E grazie all’internet ho scoperto che “l’ipocondria della gravida” dilaga indisturbata e c’è chi è in fase molto più acuta della mia.

Ma lasciate che vi racconti una storia, giusto per tranquillizzarvi.

Dunque, sono all’inizio, inizio, tipo di 7 settimane. Primo controllo fatto, è tutto ok. Tanta felicità. Venerdì sera: vengo presa da dolori al basso ventre, direi piuttosto fastidiosi. So che i dolori all’inizio sono normali, me l’ha detto il medico. Vado a fare pipì e sulle mutande trovo una crosticina rossa tipo caccola del naso. Panico. Cerco di non pensarci. Panico. Analizzo la crosta e mi dico “ma dai, cosa vuoi che sia”. Panico. Cerco di distrarmi. Panico. Torna a casa il mio compagno dal lavoro, gli dico che ho dei dolori e che ho trovato la crosta. Nessuna reazione particolare.
Vado sull’internet alla ricerca di delucidazioni. Leggo su un forum “anche a me è successo ecc..ecc.. “ e la storia ha un finale horror. Ora sono veramente in panico.

Il mio compagno è all’oscuro della mia consultazione sull’Internet, se dovesse scoprirlo la storia potrebbe avere un finale horror, ma in un altro senso.
Vado a letto. Non dormo. Giungo alla conclusione che “vabbé è successo a tante prima di me, ci riproveremo presto”. Sabato mattina, tiro giù lui dal letto: “ io vado al pronto soccorso”. Occhi assonnati “va bene, ma prima facciamo colazione”, “ no, andiamo subito…vabbé prendo il caffè”. Andiamo al pronto soccorso (che è a circa 300 metri da casa, molto positivo se affetti da ipocondria della gravida), aspettiamo 2 ore (tante scuse ma purtroppo la ginecologa di turno ha avuto un urgenza ed è in sala operatoria). Nel frattempo un lampo mi attraversa la mente: e se non fosse niente? E se sono veramente fuori? E se non fossi andata sull’internet? E se così fosse, sull’Internet non ci andrò mai più! (Come no!).
Arriva il mio turno, mi tremano le gambe. Racconto al medico dei dolori e delle crosticina. 

Mi fa immediatamente un’ecografia. Mi prende o il sangue. Mi rivolta come una calza. Conclusione: è tutto ok. Forse i dolori sono provocati da una ciste che ho in un’ovaia (e che ho da un po’), forse sono i normali dolori dell’inizio della gravidanza. “E la crosticina rossa?”. Il medico fa spallucce, come a dire “e io che cacchio ne so”. Bene.
Ci ho pensato su. Credo che la crosticina fosse veramente una caccola del naso. Sono andata al pronto soccorso per una caccola.


Sono ufficialmente fuori.

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