mercoledì 30 ottobre 2013

Tette e sbattimenti

E' da un po' che non scrivo. Ed è da un po' che latito l'internet, per la verità.
E' che di questi tempi siamo rientrati in pieno in una di quelle fasi che io amo definire “ohsignoredammilaforza”. Ovvero una di quelle fasi dove di notte non si dorme, di mattina si striscia come delle lumache, di pomeriggio si sviene e di sera...boh! chi se lo ricorda.

Tutti sappiamo che la privazione del sonno è un metodo di tortura tutt'ora utilizzato. E credo che come metodo di tortura riscuota i suoi successi. Perché la mancanza di sonno è una roba che ti sfianca, ti sfinisce, ti stende, ti cambia la prospettiva sulle cose. Nel senso che tutte le cose diventano molto, ma molto più faticose. Insomma un bel casino, và.

Perché non si dorme? Ebbene potrei dirvi che sono afflitta da pensieri ossessivi e da insonnia ricorrente. Giusto per scagionare l'esserino alto meno di un metro che mi circola per casa. Perché io, core di mamma, tendo sempre a giustificarlo, il mio esserino. Però non è difficile da intuire che la causa della mia mancanza di sonno sono i risvegli ricorrenti del bebito, risvegli che a partire dalle ore due di notte circa, sfiorano l'uno ogni mezz'ora circa. Insomma si dorme da dio.
E non parliamo del fatto che nei pochi momenti di lucidità che mi restano mi ritrovo a cercare le cause di questo suo sonno singhiozzante (avrà mangiato troppo? Troppo poco? Sarà che ha il naso chiuso? Sarà che si sta ammalando?). Oppure sarà che ogni volta che si sveglia per addormentarsi vuole la tetta?
Ecco ecco, che arriviamo al tasto dolente.

Credetemi, io sono una grande fan dell'allattamento, ve lo dico con il cuore in mano. E dopo, quasi, 18 mesi di tetta, penso di essere abbastanza affidabile. Però adesso io ve lo dico: sto iniziando a rompermi. Sto iniziando a rompermi davvero.
E' che, caspiterina, durante la notte non faccio altro che stare con le tette al vento! Cosa che, bisogna dirlo, faccio da 18 mesi. Ma quando il bebito era un bebé, dormire con la creatura attaccata alla tetta non era un problema: dormivo comunque. Anzi dormivo benissimo, l'allattare mi conciliava il sonno e il suo ciucciare era talmente delicato che nemmeno me ne accorgevo.
Un anno e mezzo dopo, invece, la cosa non funziona più. Il bebito ha smesso di essere delicato, ha messo un sacco di denti e ciuccia mettendoci una gran forza (e svuotandomi le tetta dopo quattro massimo cinque gollate). Dormire è impossibile.

Bisogna dire, per dovere di cronaca, che da un paio di mesi ho smesso di allattare di giorno. Lui ha smesso di chiedere e io ho smesso di proporre. Poi, quelle poche volte che ha richiesto, ho cercato di distrarlo improvvisandomi giocoliera o amante sfrenata delle passeggiate (quando mai?). E piano piano la tetta diurna è sparita. E' rimasta quella notturna che pare essersi sommata a quella diurna.
Insomma, un po' un casino, ma spero che si sia capito.

E' che ora mi trovo in questa situazione del cacchio, assonnata e confusa. Da una parte le sostenitrici del maternage che mi gridano a gran voce che è una fase, che poi passa, che devo tener duro e che a volte va così. Ma l'allattamento prolungato è una roba bellissima.
Dall'altra parte tutti gli altri, quelli che mi dicono che è ora di darci un taglio, che se non ce la faccio più nessuno mi obbliga e che devo smettere e basta.
E io non so che fare.
Che poi, parliamoci chiaro, l'allattamento prolungato ha dei lati positivi, ovviamente, altrimenti non sarei arrivata fino a qui. E' che in questo momento faccio un po' fatica a trovare la lucidità per elencarli. E d'altra parte noi “lunghe allattatrici” siamo molte restie al pubblico lamento, anche perché abbiamo paura che qualcuno possa attaccarsi alla nostra debolezza. Per dirci che siamo fuori di testa.

Io invece me ne frego! E mi lamento. Oh! Anche perché è giusto dire che non è mica tutto rose è fiori: che l'allattamento duri tre mesi o tre anni comporta sempre i suoi momenti difficili. E i suoi momenti di gioia. Naturalmente.
Ma ora io son stanca, ve lo dico. Son stanca di svegliarmi di notte ad allattare. Sono stanca. Sarà una fase? O è giunta l'ora di chiudere per sempre? O forse ho sbagliato tutto, avrei dovuto smettere di notte e non di giorno? (Che poi non l'ho mica deciso io, eh!).
Mah! Perché bisogna dirlo e ammetterlo: rinunciare al “ruolo” di nutrice non è mica semplice. Sembra una roba facile, ma non lo è. Fino ad oggi il bebito è sopravvissuto grazie al mio corpo, grazie ad una perte di me. E ancora oggi, grazie a questa parte di me, si addormenta, si sente rassicurato, si sente amato. E io mi sento utile. Mi sento mamma.

Insomma smettere sarà difficile, per tutti e due. Che poi dirlo non è come farlo.
O no?
No, ma che confusione.
E che sonno.
Vabbé preparo il topless e vado a letto. Và.

venerdì 18 ottobre 2013

Di puffi e sturalavandini

Il bebito ha iniziato a dire no. Cioè, non è che dica solo no, dice anche: mamma, acqua, miao, muuu e nanna. Però il “no” ha avuto un impatto un bel po' più incisivo. Molto più di muuu, ad esempio.
Oltre ad aver acquisito queste nuove potenzialità, il bebito ha cominciato anche a manifestare i lati oscuri di sé. Più che oscuri, diciamo i lati tipicamente umani, ecco. Cose tipo: “so che lì non dovrei mettere le mani e io appunto ce le metto volentieri. Anzi volentierissimo e ripetutamente”.
Va da sé che passare un pomeriggio intero in casa con lui può trasformarsi in un'esperienza un tantino molesta. Giusto un tantino. Rimpiangendo i bei tempi in cui bastava una tetta per risolvere un po' tutte le questioni.
Ieri giustappunto, mi ero messa in testa di pulire casa. Niente di metafisico, solo una spolverata qua e là e una passata di aspirapolvere.

Ho tirato fuori l'aspirapolvere e lui si è messo a: rosicchiare il cavo, spingere l'aspirapolvere, staccare la spina, tentare di riattaccare la spina, mordermi i polpacci (manco fosse un bassotto), mangiare la polvere e infine gridare come un aquila perché io in tutto ciò cercavo di non dargli retta (cioè contemporaneamente cantavo “44 gatti” ma a lui pareva non bastare). La crisi da “genitrice-scellerata-perché-non-mi-caghi” è durata circa un quarto d'ora. Un quarto d'ora di rotolamenti al suolo, urla e strepiti. Poi però si è ripreso. Allora ho tentato di pulire un po' il pavimento della cucina, giusto perché avevo paura di rimanerci attaccata. Lui ha aperto il cassetto delle vivande, ha tirato fuori un pacco di spaghetti (aperto), ha buttato gli spaghetti ovunque calpestandoli e creando tanti minispaghettini. Siccome sono una mamma tollerante e paziente gli ho detto “amore, va bene, gioca con gli spaghetti che intanto la mamma invece del pavimento pulisce il piano della cucina”. Però no. Il gioco degli spaghetti l'ha tenuto occupato due minuti circa, dopodiché è scomparso e riapparso brandendo una sturalavandini. Detta così pare il titolo di un film di serie B di una casa di produzione americana che non sa più bene cosa inventarsi: il bambino con lo sturalavandini. E detta così pare che io abbia lo sturacessi in cucina. Il che non è vero. Insomma sto sturalavandini ha pensato bene di darmelo sugli stinchi, lanciarlo e tentare di attaccarlo ai pensili della cucina. A parte che ho apprezzato la genialità del gesto (ha capito che la ventosa si attacca) mi sono arrabbiata. Quindi ho preso il bebito di peso, l'ho portato in salotto, gli ho dato il cesto con i libri e l'ho lasciato lì dicendogli “adesso guarda un attimo i libri che io tra cinque minuti arrivo”. Si, certo. Praticamente fantascienza pura, ma io sono una con una gran fantasia. Lui l'ha presa male, e ha ricominciato con il disco “genitrice-scellerata-ecc..ecc..” con tanto di urla, pianti e rotolamenti.

Così è stato che ad un certo punto ho sbroccato. E ho gridato come una specie di pazzoide. Alla faccia della mamma tollerante e paziente.
Ovviamente poi ci son rimasta male. Ho riflettuto sulle mie azioni e ci sono rimasta ancora peggio. Anche perché fino ad ora non era mi era mai successo di gridare come una pazza contro di lui. E non è affatto un bel gesto.
Però santiddio, ci son dei momenti in cui il mio amatissimo bebito mi fa uscire pazza! E ci sono momenti in cui mi verrebbe voglia di piazzarlo davanti alla TV con un DVD dei puffi che non finisce mai. Non so, magari nemmeno funzionerebbe.

In questi giorni, ve lo dico, mi sto sentendo una vera cacca di madre. Per non dire madre de merda che è un po' brutto. Intanto, l'ho detto.
Vi confesso che stamattina ero sollevata di andare al lavoro. Il che è tutto un dire.
E' solo che: cosa dovrei fare? Smettere di pulire? Guardate che io pulisco veramente il minimo sindacale, credetemi. Meno di così mi mandano l'ufficio d'igiene. Farmi aiutare dal mio compagno? Si ho capito, se non fosse che lui già cucina, fa il bucato e a volte pulisce pure i vetri. Per dire.

Ma cara, tienilo occupato, facendogli fare fantastici giochi educativi. Eh certo! Come se non ci avessi pensato. Infatti giusto l'altro giorno ci siamo messi a fare i travasi: piselli secchi e tanti contenitori. Per circa tre minuti il gioco pareva interessante: prendi i piselli da qui e mettili di lì. Poi la situazione è degenerata, i piselli son finiti in ogni angolo della casa e io mi son ritrovata a dover fare gli straordinari di pulizia. Lui ci è scivolato sopra, tipo cartone animato e ha rischiato pure di rompersi l'osso del collo. Molto educativo.

La soluzione naturalmente c'è. Io lo so benissimo. La soluzione è uscire, stare in giardino, andare a spasso. Insomma star fuori. Cosa che noi facciamo molto spesso, bisogna dirlo. Però mica possiamo sempre star fuori.
E poi signori, qui siamo a Berna stamattina c'erano tre gradi.
E l'inverno si avvicina. E io odio l'inverno. Io odio la neve. Io odio il freddo. Io odio star fuori al freddo. Io odio il cielo grigio. Io odio le palle di neve.
Vedete, i puffi mi stan già facendo l'occhiolino.

P.s. La scrittura di questo post è stata possibile grazie al gentile sostegno dello sturalavandini.

mercoledì 9 ottobre 2013

Il lato oscuro dell'internet


Ultimamente tendo ad avere l'umore vagamente ballerino. Ci son giorni in cui mi sento una vera gagliarda, una con tutto sotto controllo, una con mille idee e mille progetti, una che ce la fa. Ci sono altri giorni, invece, in cui mi sembra tutto difficile, faticoso, noioso, in cui nella testa sento solo tanta nebbia e tanta voglia di scappare in sud America e non farmi trovare più. Niente di grave, comunque. Credo sia così un po' per tutti, chi più (occhi il bipolarismo è in agguato!) e chi meno. Come si suol dire, c'est la vie.
I giorni in cui mi sento giù tendo a diventare piagnona e antipatica, una alla quale non si può dire niente. Nei giorni in cui mi sento giù peso sulle grandi spalle del mio compagno, porello, il quale si ritrova spesso confrontato con questi due lati di me.

E così durante l'ultima delle mie lamentele/crisi isteriche (Cit: checazz! Non riesco mai a combinare niente! Mi sento una vera fallita eccetera eccetera) lui mi ha fatto notare una cosa molto interessante. Mi ha fatto notare che perdo un sacco di tempo. Su internet.

A volte la verità offende (perché ovviamente il primo pensiero è quello di dire “che dici? Non è vero!”). A volte, invece, la verità ci fa riflettere. Perché io effettivamente passo molto del mio tempo libero davanti al computer. Il che voglio dire, in sé non è mica così male. Grazie a internet ho conosciuto tantissime persone interessanti, ho imparato tante cose. Grazie ad internet so cucire,  cucinare (si vabbé insomma di provo, ma se non ci fosse "giallo zafferano"...), a stirare una camicia, a mettermi l'eye liner senza sbavarlo, a organizzarmi le vacanze spendendo il meno del meno possibile. Grazie ad internet vengo a conoscenza di realtà interessanti, leggo recensioni di libri e film, mi tengo informata in modo critico (e non dal sito di Repubblica, che io tra l'altro boicotto, eh!), cerco in qualche modo di mantenere un po' di contatto con gli amici lontani. Grazie ad internet scrivo un blog che forse, ogni tanto, vi tiene un po' di compagnia o forse ogni tanto (spero) vi fa divertire o riflettere un po'. Insomma la lista delle cose che faccio grazie a internet è infinita. Ho imparato, però, che tutto ha un prezzo. Ebbene è così, la “comodità” non è mai gratuita. Il rovescio della medaglia è che a volte, l'internet, tende ad inghiottirti e da una cosa se ne guarda un'altra, da un video ad un altro, da un post ad un altro. E si trascura il tempo reale, quello delle cose vere.

Quindi, tornando a noi, il mio compagno mi ha fatto notare una cosa interessante: quando mi prendo bene per qualcosa di “concreto” e non virtuale sono molto, ma molto più serena. E in effetti è così: quando faccio la marmellata, lavoro a maglia, m'impegno a trovare un nuovo modo di arredare casa sono molto più tranquilla. E anche molto più simpatica. Così mi son ritrovata a dovergli dar ragione (a volte capita, eh!). Sarà anche che quando si fa qualcosa di “concreto”, si costruisce, si vede il risultato del proprio lavoro, si è anche più soddisfatti. Un po' come lavorare nell'orto, vedere le cose crescere, tenerle nelle mani.

Insomma mi sa che devo investire un po' più di tempo nelle cose concrete e meno tempo nell'internet. E poi ho pensato, non sarà mica la “malattia del blogger”? Cioè...scrivo su un blog perché mi fa stare meglio, solo che poi perdo un sacco di tempo su internet e in sostanza questo mi fa stare peggio. Un po' perverso. Ma forse si è capito.
Amici di internet, che ne pensate?
E poi, cosa ne penserà il mio bebito?
Oddio, non sarò mica internet dipendente. Aspetta che vado a cercare su google. A no. Ops
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