Il parcheggio dell'asilo nido . No, qui non ci sono i SUV |
Un’altra caratteristica peculiare della mamma svizzerotedesca è che questa ti molla i pargoli con una facilità disarmante. Mi ricordo, ad esempio, una vicina di casa che un giorno ci bussò alla porta e con estrema nonchalance ci disse “vi lascio i bambini per un’oretta circa, io vado a fare jogging. Comunque loro son tranquilli”. E così cenammo con questi due bimbetti che se ne stavano seduti su una sedia a leggere. Ovviamente tranquillissimi e in silenzio. Mah.
sulla strada verso l'asilo nido |
L'asilo |
Nel bosco esiste però un pericolo serio, una cosa che riesce a mandare in apprensione anche le più settentrionali delle madri. No, non sono gli spiriti maligni, che andate a pensare. Sono le zecche. Perché dovete sapere che questi piccoli e ripugnanti parassiti, che vivono prevalentemente nel sottobosco, sono portatori di una malattia, rara ma molto pericolosa. E’ la borreliosi di Lyme, roba che solo a sentirla nominare ti viene l’ansia. La malattia è causata da un batterio, che vive sulle zecche (il parassita del parassita, insomma). L’Ufficio federale della sanità ci informa che tra il 5 e il 50% delle zecche sono colpite da questo antipatico ospite e ogni anno si stima che in Svizzera ci siano tra il 6000 e il 12000 casi di borreliosi di Lyme. La malattia si manifesta con un eritema che, in alcuni casi, si espande fino a causare danni neurologici e menigiti fulminanti. Insomma, roba da star tranquilli. E roba che, solo per questo motivo, l’asilo nel bosco non so se sarebbe poi tanto in voga, in terre latine.
Il giorno dell’iscrizione del bebito al suddetto asilo, fui immediatamente informata delle regole anti-zecca: mai pantaloni corti, mai magliette a maniche corte o scarpe aperte, calzettoni (tirati sui pantaloni) e scarponcini d’obbligo . Ogni giorno, dopo l’asilo, un bel check zecca.
Scarpa antizecca (del bebito) |
scarpa (poco antizecca) di mammà |
Mi sento di dire che, a parte la naturale e iniziale apprensione, a questa storia delle zecche non ci ho mai dato veramente troppo peso. Credetemi. E’ che passata l’iniziale ansia e rispettando i normali accorgimenti (tra i quali anche uno spray naturale antizecca) l’argomento zecche non mi sembrava proprio una grande hit, tra le mamme dei boschi.
Fino all’altro giorno.
E’ l’ora di cena, pronto in tavola e tempo di lavare le mani. Mentre il bebito si insapona, noto un puntino nero tra il medio e l’anulare della sua mano sinistra. Guardo da vicino e constato che è una cosina, nera e sporgente, attaccata alla pelle solo per una sua parte. Chiamo mio marito (con quel tono lì, quello del “vieni subitissimo!”) e gli chiedo “secondo te che cos’è…” e lui, con faccia preoccupata “mmm, una crosta?” credendoci poco anche lui. Occhei ho capito. E’ una zecca. Bene, stiamo calmi, ma proprio calmi. Ci sediamo a tavola e discutiamo sul da farsi. Io mi sento comunque molto tranquilla, inaspettatamente tranquilla. Talmente tranquilla che sono fiera di me stessa. Mentre mangiamo, consapevoli che molto probabilmente non succederà un bel niente, decidiamo di chiamare la guardia medica pediatrica, giusto per capire come agire.
La simpatica vocina al telefono mi dice che la zecca va immediatamente estirpata e che, se non ci sono eritemi attorno alla puntura, tutto è sotto controllo. Però mi dice di farci comunque un giretto al pronto soccorso, per farla togliere da mani esperte e per controllare che sia veramente tutto ok. Con le zecche sui bambini piccoli, non si scherza. E qui salta fuori il mio lato nordico, quello che pure davanti al pericolo è sprezzante e coraggioso. Le faccio notare che sono passate le otto di sera, che il pronto soccorso è dall’altra parte delle città e che l’idea di mettermi in tram non è che proprio mi entusiasmi. No, adesso spero non pensiate che io sia una madre degenere, è che ho preso l’andazzo di qui.
Lei mi chiede dove abito e mi dice che a due passi da casa nostra si trova una clinica privata, dove sicuramente sono ben attrezzati.
La strada che percorro quotidianamente per andare a prendere il bebito all'asilo |
Arriviamo alla clinica e varchiamo la soglia del pronto soccorso. Ora, vi prego, lasciatemi spendere due parole sulla suddetta clinica. A fianco della porta d’ingresso notiamo una vetrinetta con una collana di perle all’interno, alle pareti la réclame di Cartier. Il pronto soccorso è bianco e scintillante, ma non puzza di ospedale, profuma di buono, come di bucato appena lavato. Ma soprattutto è vuoto, cioè non c’è nessuno. Camminando in cerca della reception, tra un dipinto e l’altro, spiamo incuriositi le sale operatorie: attrezzate di tutto punto, con tutti i macchinari possibili e immaginabili e vuote, vuotissime. Occhei siamo in Svizzera, e siamo capitati in una di quelle cliniche per top manager infartati. Meglio non soffermarsi troppo sulla pessima distribuzione della ricchezza che esiste su questa terra. Meglio non soffermarsi troppo sul fatto che in Africa sono milioni e non hanno gli antibiotici e qui hanno de ogni e saranno qualche centinaio (di ricchi).
Arriviamo alla reception (probabilmente interrompendo la segretaria nel suo Sudoku) e annunciamo il bebito con tanto di zecca al seguito. Lei con un sorriso Durbans, ci dice che in qualche minuto arriverà un medico per la visita e che nel frattempo possiamo attendere nella sala d’aspetto. Con tanto piacere regala un orsacchiotto al bebito. De luxe.
E così ci accomodiamo tutti e tre nella sala d’aspetto del pronto soccorso, luogo in cui, normalmente si ritrovano le peggio condizioni umane raggruppate tutte insieme in una stanza. `Qui si trovano svariati numeri di Vogue, un’ampolla piena di caramelline colorate, riviste varie e tanti giochi per i bimbi. Io continuo a stupirmi di quanto sia tranquilla e il bebito è felice con il suo nuovo orsacchiotto. Ci stiamo proprio dentro.
Arriva il medico: è sorridente e abbronzato. Ovvio. Attorno alla bocca ha qualche briciola, segno che abbiamo interrotto la sua cena.
Ci porta in una delle sale super attrezzate e tira fuori da un’antina una pinzona antizecca. Il bebito è reticente a mostrargli le mani, ma alla fine cede.
Ed è proprio in quel momento che il medico abbronzato osserva con attenzione la zecca, si gratta la testa, mi guarda con aria perplessa. E tutta la mia tranquillità nordica va a farsi benedire. Lui mi guarda, sembra aprir la bocca per dirmi qualcosa. E io penso “ecco ha già capito, ha preso la borreliosi!”. Lui lascia andare la mano del bebito e mi dice:
“Singora, questa non è una zecca. E’ una crosta”.
No, ma va bene, eh! Tutto è bene quel che finisce bene. O no? E poi parliamoci chiaro, ho letto Vogue a gratis e abbiamo scroccato un orsacchiotto. Alla faccia della tranquillità nordica. Ormai l’ho capito: questi nordici non mi avranno mai!
Nel mesto ritorno verso casa, mio marito mi fa notare che lui aveva seriamente sospettato che si trattasse di una crosta. Solo che la mia faccia preoccupata l’ha spinto ad assecondarmi. Praticamente come si fa con i pazzi. Andiamo bene.
Ahahahaha!!! Fantastica!!! Comunque anche nel sud della Francia le mamme se ne stanno al parchetto belle sedute a chiacchierare mentre i bimbi ne fanno di ogni! Mi sa che solo noi e gli spagnoli passiamo la vita a strapparci i capelli per tutto...e pensare che io sono considerata pure una mamma easy in Italia!!!
RispondiEliminaE sto asilo...fichissimo!!!
Cara...allora anche tu sei in buona compagnia, proprio come me! C'è da dire che anch'io, quando emigro a sud, sono considerata una mamma supereasy. Zecche a parte, naturalmente! :-)
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