lunedì 21 luglio 2014

Profumi d'estate

Non so come sia per voi, ma a me l’incontro spontaneo e inaspettato di cose belle mette di buon umore. E per cose belle e inaspettate intendo cose piccole, apparentemente insignificanti. Per esempio può capitarmi che mentre cammino nel bosco, mi ritrovi davanti a un coniglio, a una cincia, a uno scoiattolo. Niente di tanto speciale, in un bosco. Mentre sei lì a camminare distrattamente, però, non immagini di poter scrutare da vicino il respiro di una cincia, il rosicchiare di uno scoiattolo, lo zompettare di un coniglio. Ed è proprio questo a renderli speciali, a renderli terribilmente belli. E capita che tutto questo mi risollevi, all’improvviso, la giornata.

Marco M. Verzasconi, Punto di domanda, 2011. Tecnica mista su tela 40X40

Lo scorso week end siamo stati a Londra, al matrimonio di un’amica cara. E’ stato bello. E’ stato bello rivedere vecchi amici, incontrare gli sposi così radiosi di felicità, e ritrovarsi un po’ cambiati, ma solo un po’. E’ stato bello vedere il bebito felice di essere spupazzato da tutti. E’ stato bello capire che a noi tre la grande città ci fa un baffo, anche quando si tratta di ingegnarsi per giornate intere tra metropolitane, bus, treni e aerei. Non senza stanchezza, ovviamente.  Abbiamo appurato che si può fare: si può fare un week end festaiolo e metropolitano, anche con pargolo al seguito. Alla faccia di quelli che ci dicevano che “poi vedrete, con un bambino queste cose ve le dovrete dimenticare”. E’ stato bello capire che no, non è così.

London Banksy
E poi, tornando a parlarvi di cose belle e inaspettate, mi è capitato di incontrare questo manifesto:

Altro non è che una comunicazione dell’agenzia dei trasporti londinese, atta ad avvisare che a causa dell’arrivo del Tour de France, alcune strade saranno chiuse e alcune stazioni non saranno servite.  Una sorta di avviso, insomma. Un cartello utile, una nota, nato al semplice scopo di creare meno caos possibile, in una città gigantesca; una metropoli che ha deciso di ospitare un evento così importante e logisticamente così complesso.

Ed è proprio questa la bellezza inaspettata, quella che ti risolleva la giornata, che ti fa dire “wow” ad alta voce. Non si è mai veramente preparati a trovare tanta eleganza in una comunicazione di servizio. Un’opera d’arte metropolitana.

E ora siamo nel pieno del Tour de France, che si sta portando con sé il suo profumo d’estate. Perché io i miei lugli di bambina li ricordo così: profumati, caldi di vacanze. E ricordo mio nonno che metteva la televisione su un carrello, tirava i cavi e improvvisava un’antenna, per poter guardare il Tour anche in giardino.  E le ore pigre erano scandite da colpi di pedale televisivi. 

Foto di Jered&Ashley Gruber http://www.gruberimages.pro/
La bella stagione, con i primi caldi e le prime uscite, iniziava a maggio con il Giro d’Italia e si chiudeva settembre con il giro di Lombardia. E in questo periodo la TV era costantemente monopolizzata dai ciclisti, nei tempi in cui di TV in casa era normale ce ne fosse una sola. E io e il nonno finivamo per litigare, soprattutto su quelle tappe noiose dove non succedeva nulla di nulla e io avrei preferito cambiare canale, o farla tacere per una buona volta quella caspita di TV. Nonostante a tratti l’abbia odiato, a tratti amato, a tratti sia stato un semplice rumore di fondo, il ciclismo è stato parte integrante delle mie estati, un’abitudine familiare.  
Foto di Jered&Ashley Gruber http://www.gruberimages.pro/

Poi il destino mi ha fatto incrociare lui (mio marito), che guarda caso è appassionato di ciclismo. Ed è così che dal Giro al Tour, qui ritmiamo le nostre serate con le repliche delle tappe. E io lotto contro il sonno per riuscire a resistere fino all’arrivo. Non sempre ci riesco, lo ammetto. Ma è bello vedere come certe cose cambino, rimanendo in fondo sempre le stesse. Un giorno ricorderemo le nostre fredde estati bernesi, con la finestra sul balcone spalancata, noi seduti fuori (ben coperti, eh!), una birra o un bicchiere di sciroppo di sambuco, stretti, stretti a guardare il Tour de France.

Foto di Jered&Ashley Gruber http://www.gruberimages.pro/
P.s. Grande Nibali! E tanta forza!

P.s 2 le foto che vedete sono di Jered&Ashley Gruber, due giramondo appassionati del più bello degli sport. Andate a dare un'occhiata al loro sito, ne vale la pena



martedì 8 luglio 2014

Cameretta del bebito a costo (quasi) zero

Chissà poi perché, dal momento in cui ho deciso di ampliare la mia gamma di argomenti, mi è venuto in mente questo post molto mummy. Diciamo un post sul genere mummy – pratico, per essere proprio precisi.
La mia speranza è, che essendo pratico, possa essere d’aiuto a qualcuno.

Una discreta e nemmeno troppo esosa babyboy bedroom (dal sito http://rilane.com/)
Vi ho già parlato degli acquisti fatti per il bebé, acquisti che hanno seguito la filosofia “a costo zero” (o quasi). Ora, non pensate che io sia una madre tirchiona e un po’ troppo freak che fa andare in giro la sua creatura con vestiti ricavati da sacchi di juta. Vi assicuro che non è così! (Il prossimo post potrebbe benissimo parlare di scarpe, che vi credete!). E’ solo che io penso sinceramente che la stragrande maggioranza degli acquisti fatti per bambini e bebé, rappresentino un bello spreco. Perché, diciamoci la verità, alla creatura non interessa proprio niente di avere il vestitino firmato, la camicia stirata di tutto punto, le scarpe fighe. Vi posso assicurare che a lui interessa sporcarsi (il più possibile), rotolarsi nell’erba, sbrodolarsi con il gelato. In più, questo non ve lo devo dire io, i bambini crescono a velocità supersonica ed esagerare con gli acquisti può essere veramente controproducente. In Svizzera tedesca (dove vivo) esiste una fantastica rete di “passailvestitino”, rete della quale io faccio fieramente parte. Ne consegue che per il bebito non ho dovuto comprare quasi nulla.

Lo stesso discorso lo possiamo applicare a tutti gli accessori vari: vaschetta per il bagnetto, fasciatoio, lettino a sbarre, sdraiette. Io personalmente non ho acquistato niente di tutto ciò. E ne sono felice.

Quando il bebito ha fatto il suo felice ingresso nella nostra famiglia, abitavamo in un bilocale, molto grazioso ma relativamente piccolo. Così abbiamo abbracciato la filosofia “a costo zero” un po’ per principio e un po’ per evitare di occupare il pianerottolo con oggettistica varia. Poi, grazie al cielo, ci siamo trasferiti in un appartamento più grande, con una meravigliosa stanzetta dedicata. Stanzetta che abbiamo dovuto arredare.

Non so spiegarvi bene il perché, ma a partire dal nostro trasferimento, non è che mi sia venuta questa voglia pazza di tinteggiare le pareti, comprare lettino, fasciatoio e cassettiere coordinate, tipo supermamma americana (vedi foto sopra). Mi piaceva l’idea che quella fosse la SUA camera e che quindi dovesse crearsi attorno al lui, in base alle sue esigenze e ai suoi gusti. Un’altra cosa, per me importante, è che la stanza dovesse rimanesse piuttosto “vuota” per evitare il totale accumulo di oggetti e giocattoli. Dovete sapere che io sono una disordinata cronica e non ne sono per nulla felice. Vorrei quindi che mio figlio imparasse da subito l’arte e la comodità di un certo minimalismo (ahahahah, grasse risate. Dicamo che mi piacerebbe…di certo l’arte del minimalismo non la imparerà da me, povero figlio mio!).

Sto quindi per presentarvi la cameretta del bebito, stanza che abbiamo creato in base alle nostre e sue esigenze, utilizzando un bel po’ di fantasia e arte del fai da te. Credo che sia diventata nel tempo uno spazio simpatico e accogliente, dove lui può dormire, disegnare, giocare, ballare… (cose che fa in tutto il resto della casa, del resto). Il costo della cameretta è quasi zero, ma il divertimento che c’è stato nel farla non si può monetizzare.

Mi scuso per le foto, che non sono un granché. Mi devo decidere ad acquistare una macchina fotografica decente! (E questo sì che sarebbe un acquisto intelligente).

Il letto

Il bebito ha dormito nel nostro letto dal primo giorno in cui è arrivato a questo mondo. E ha continuato a dormire con noi per altri 18 mesi circa. Durante questo periodo, quindi, non possedevamo alcun lettino. Poi si è iniziato a stare tutti un po’ strettini, nel lettone. E lui miracolosamente ha iniziato ad addormentarsi in luoghi insoliti. Così abbiamo provato a fare il trasferimento nella sua stanza e la cosa ha funzionato abbastanza bene (con qualche sveglia notturna). Oggi il bebito dorme nella sua camera e nel suo letto per tutta la notte (salvo casi eccezionali). Questo per dirvi che sì, accade. Non abbiate paura di dormire con i vostri bambini, prima o poi saranno loro a lasciare il vostro letto! Tornando al discorso pratico, a un certo punto ci siamo ritrovati con l’esigenza di un letto bebitico. Per me era importante che il letto fosse “normale” e non mini (perché all’inizio mi stendevo con lui per farlo addormentare), che non avesse sbarre e che fosse abbastanza basso da permettergli di scendere e salire da solo.  Ci ha salvati un nostro caro amico che ci è venuto incontro con questa idea creativa

In pratica si tratta di due bancali di legno, dipinti, e tenuti insieme da due cerniere. Ai bancali sono state aggiunte delle ruote (così da facilitare la pulizia sotto al letto) ma la cosa non è indispensabile. E’ un lavoro semplicissimo: vi serve solo un po’ di tempo e manualità. Ed è una soluzione perfetta: il letto è della giusta misura per un materasso singolo ed è sufficientemente basso da permettere al bebito di alzarsi e coricarsi da solo. Di solito, la notte, metto un piumino a fianco al letto così da proteggere il bebito in caso di ruzzolamento.



Dettegliodella ruota (che si può bloccare, eh!)
Dettaglio della "cerniera". Ok, la tinteggiatura non è che sia venuta proprio il massimo :-)
 Quella di creare mobili con i bancali è ormai diventata una vera arte!

immagine da http://faidatemania.pianetadonna.it/
Immagine da www.infoarredo.it

La scrivania/ripiano giochi/piano lavoro

Un’altra ideona, che ha avuto mio marito, è stata quella di costruire una sorta di piano lavoro/ripiano per giochi e (si spera) futura scrivania grazie ad un asse da cantiere e due cassette.


L’asse è stato inchiodato alle cassette, ovviamente. Un’idea pratica, carina e creativa, no?




Il fasciatoio


Per creare un fasciatoio semplice e originale, abbiamo acquistato in un negozio second hand una vecchia cassettiera molto vintage. Alla cassettiera abbiamo incollato dei pezzettini di legno della stessa misura del cuscino per fasciatoio, così da non farlo scivolare via. All’interno della cassettiera teniamo i suoi vestiti e gli accessori per il cambio.
Il fasciatoio senza il "cuscino" (dettaglio dei legnetti incollati)
La pista per le macchinine

Non è che c'entri proprio tanto. In realtà volevo comprare al bebito uno di quei tappeti con le strade. 

immagine da ebay.uk

Poi ho visto quest’idea in un sito internet e mi è sembrata così divertente!


Questo per dimostravi che “a costo zero” non vuol dire per forza “brutto e zozzo” ! Anzi! Sono contenta della cameretta del bebito.  Credo che lo sia anche lui.

giovedì 3 luglio 2014

C'azZecca o non c'azZecca? Borreliosi di Lyme e dintorni

Dopo numerosi anni passati in quel di Berna, posso affermare che le differenze culturali, sociali, personali tra noi e loro… esistono. Eccome se esistono.

Il parcheggio dell'asilo nido . No, qui non ci sono i SUV
Sull’argomento si potrebbe scrivere un trattato, ma ve lo riservo per un’altra volta. Sta di fatto che una delle differenze che più salta al materno occhio, è la mancanza (quasi) totale di qualsivoglia forma di apprensione. In pratica sono molto, ma molto più rilassate di noi mamme latine. Anche se il loro bambino è a petto nudo che corre in mezzo ad un prato, ci sono dieci gradi e una mietitrebbia si sta stagliando all’orizzonte, loro se ne fottono. Magari quando il pericolo si fa veramente, ma veramente, incombente allora intervengono. Ma mai urlando. Come facciano non lo so. Bisogna però dire, a onor del vero, che a volte risultano piuttosto irritanti. Ad esempio quando sei al parco giochi, ci sono bambini a perdita d’occhio, e tu sei l’unica e dico l’unica madre che non è seduta su una panchina a farsi gli affaracci suoi. E sei l’unica, dico l’unica, madre che sta impedendo al figlio della signora X di cavare gli occhi al figlio della signora Y. XY se ne strafregano, ovviamente. Ma tu proprio non ce la fai e quindi ti metti in mezzo. Per poi pentirtene subito dopo.

Un’altra caratteristica peculiare della mamma svizzerotedesca è che questa ti molla i pargoli con una facilità disarmante. Mi ricordo, ad esempio, una vicina di casa che un giorno ci bussò alla porta e con estrema nonchalance ci disse “vi lascio i bambini per un’oretta circa, io vado a fare jogging. Comunque loro son tranquilli”. E così cenammo con questi due bimbetti che se ne stavano seduti su una sedia a leggere. Ovviamente tranquillissimi e in silenzio. Mah.

sulla strada verso l'asilo nido
Tutto ciò per dirvi che se le mamme nordiche già di per loro sono molto cool, le mamme che portano i bambini all’asilo nido nel bosco (asilo nido frequentato dal bebito, maggior informazioni le trovate qui) sono la quintessenza della mamma rilassata. Cioè in questo asilo i bambini sono sempre fuori, con qualsiasi tempo e in qualsiasi condizione (la condizione per stare al coperto è che faccia più freddo di -10). Mangiano nel bosco, dormono nel bosco, giocano nel bosco. E ovviamente se ne vanno a spasso nel bosco, da soli. Cioè loro nel bosco hanno libertà totale, anche se imparano quasi subito a non allontanarsi troppo (almeno così mi hanno detto). Non hanno giochi convenzionali, i loro giochi sono gli utensili: martelli, seghetti e coltellini svizzeri (ai quali è stata arrotondata la punta). Insomma robe che per una qualsiasi mamma latina sarebbero al limite della legalità.
L'asilo
Io, sarà che ormai sono anni e anni che vivo qui, sarà che è l’unico asilo nido in cui c’era posto (e sarà proprio questo, in effetti!), ma la cosa non mi lascia per nulla in apprensione. Non più, almeno. E gli incidenti, bisogna dirlo, sono molto, molto rari. Va bene, una volta il bebito ha dato una martellata in testa ad una bimba, cosa vuoi che sia. Per “punizione” non ha potuto utilizzare il martello per una settimana. E vabbé.

Nel bosco esiste però un pericolo serio, una cosa che riesce a mandare in apprensione anche le più settentrionali delle madri. No, non sono gli spiriti maligni, che andate a pensare. Sono le zecche. Perché dovete sapere che questi piccoli e ripugnanti parassiti, che vivono prevalentemente nel sottobosco, sono portatori di una malattia, rara ma molto pericolosa. E’ la borreliosi di Lyme, roba che solo a sentirla nominare ti viene l’ansia. La malattia è causata da un batterio, che vive sulle zecche (il parassita del parassita, insomma). L’Ufficio federale della sanità ci informa che tra il 5 e il 50% delle zecche sono colpite da questo antipatico ospite e ogni anno si stima che in Svizzera ci siano tra il 6000 e il 12000 casi di borreliosi di Lyme. La malattia si manifesta con un eritema che, in alcuni casi, si espande fino a causare danni neurologici e menigiti fulminanti. Insomma, roba da star tranquilli. E roba che, solo per questo motivo, l’asilo nel bosco non so se sarebbe poi tanto in voga, in terre latine.

Il giorno dell’iscrizione del bebito al suddetto asilo, fui immediatamente informata delle regole anti-zecca: mai pantaloni corti, mai magliette a maniche corte o scarpe aperte, calzettoni (tirati sui pantaloni) e scarponcini d’obbligo . Ogni giorno, dopo l’asilo, un bel check zecca.

Scarpa antizecca (del bebito)
scarpa (poco antizecca) di mammà
Per tranquillizzarmi, però, la responsabile dell’asilo mi disse che in tutti i suoi anni di onorata carriera boschiva le è capitato un solo caso di puntura di zecca e questo senza borreliosi di Lyme. Insomma mi fece capire che se anche ti punge una zecca (eventualità comunque rara), la possibilità che la zecca sia colpita dalla malattia è ancora più rara.
Mi sento di dire che, a parte la naturale e iniziale apprensione, a questa storia delle zecche non ci ho mai dato veramente troppo peso. Credetemi. E’ che passata l’iniziale ansia e rispettando i normali accorgimenti (tra i quali anche uno spray naturale antizecca) l’argomento zecche non mi sembrava proprio una grande hit, tra le mamme dei boschi.

Fino all’altro giorno.

E’ l’ora di cena, pronto in tavola e tempo di lavare le mani. Mentre il bebito si insapona, noto un puntino nero tra il medio e l’anulare della sua mano sinistra. Guardo da vicino e constato che è una cosina, nera e sporgente, attaccata alla pelle solo per una sua parte. Chiamo mio marito (con quel tono lì, quello del “vieni subitissimo!”) e gli chiedo “secondo te che cos’è…” e lui, con faccia preoccupata “mmm, una crosta?” credendoci poco anche lui. Occhei ho capito. E’ una zecca. Bene, stiamo calmi, ma proprio calmi. Ci sediamo a tavola e discutiamo sul da farsi. Io mi sento comunque molto tranquilla, inaspettatamente tranquilla. Talmente tranquilla che sono fiera di me stessa. Mentre mangiamo, consapevoli che molto probabilmente non succederà un bel niente, decidiamo di chiamare la guardia medica pediatrica, giusto per capire come agire.

La simpatica vocina al telefono mi dice che la zecca va immediatamente estirpata e che, se non ci sono eritemi attorno alla puntura, tutto è sotto controllo. Però mi dice di farci comunque un giretto al pronto soccorso, per farla togliere da mani esperte e per controllare che sia veramente tutto ok. Con le zecche sui bambini piccoli, non si scherza. E qui salta fuori il mio lato nordico, quello che pure davanti al pericolo è sprezzante e coraggioso. Le faccio notare che sono passate le otto di sera, che il pronto soccorso è dall’altra parte delle città e che l’idea di mettermi in tram non è che proprio mi entusiasmi. No, adesso spero non pensiate che io sia una madre degenere, è che ho preso l’andazzo di qui.
Lei mi chiede dove abito e mi dice che a due passi da casa nostra si trova una clinica privata, dove sicuramente sono ben attrezzati.

La strada che percorro quotidianamente per andare a prendere il bebito all'asilo
Bene, lasciamo lì la cena, con tanto di pasta nel piatto, infiliamo il bebito nel passeggino e ci incamminiamo verso la clinica. Nel tragitto approfitto per dire a mio marito che sono molto fiera di me: sono calma e tranquilla. La Rosi di qualche tempo fa avrebbe cominciato a strapparsi le vesti. Sì, però quella là dell’asilo, in anni di carriera ha visto una zecca sola e ora la seconda tocca a noi. Che culo, eh!
Arriviamo alla clinica e varchiamo la soglia del pronto soccorso.  Ora, vi prego, lasciatemi spendere due parole sulla suddetta clinica. A fianco della porta d’ingresso notiamo una vetrinetta con una collana di perle all’interno, alle pareti la réclame di Cartier. Il pronto soccorso è bianco e scintillante, ma non puzza di ospedale, profuma di buono, come di bucato appena lavato. Ma soprattutto è vuoto, cioè non c’è nessuno. Camminando in cerca della reception, tra un dipinto e l’altro, spiamo incuriositi le sale operatorie: attrezzate di tutto punto, con tutti i macchinari possibili e immaginabili e vuote, vuotissime. Occhei siamo in Svizzera, e siamo capitati in una di quelle cliniche per top manager infartati. Meglio non soffermarsi troppo sulla pessima distribuzione della ricchezza che esiste su questa terra. Meglio non soffermarsi troppo sul fatto che in Africa sono milioni e non hanno gli antibiotici e qui hanno de ogni e saranno qualche centinaio (di ricchi).
Arriviamo alla reception (probabilmente interrompendo la segretaria nel suo Sudoku) e annunciamo il bebito con tanto di zecca al seguito. Lei con un sorriso Durbans, ci dice che in qualche minuto arriverà un medico per la visita e che nel frattempo possiamo attendere nella sala d’aspetto. Con tanto piacere regala un orsacchiotto al bebito. De luxe.

E così ci accomodiamo tutti e tre nella sala d’aspetto del pronto soccorso, luogo in cui, normalmente si ritrovano le peggio condizioni umane raggruppate tutte insieme in una stanza. `Qui si trovano svariati numeri di Vogue, un’ampolla piena di caramelline colorate, riviste varie e tanti giochi per i bimbi. Io continuo a stupirmi di quanto sia tranquilla e il bebito è felice con il suo nuovo orsacchiotto. Ci stiamo proprio dentro.
Arriva il medico: è sorridente e abbronzato. Ovvio. Attorno alla bocca ha qualche briciola, segno che abbiamo interrotto la sua cena.

Ci porta in una delle sale super attrezzate e tira fuori da un’antina una pinzona antizecca. Il bebito è reticente a mostrargli le mani, ma alla fine cede.
Ed è proprio in quel momento che il medico abbronzato osserva con attenzione la zecca, si gratta la testa, mi guarda con aria perplessa. E tutta la mia tranquillità nordica va a farsi benedire. Lui mi guarda, sembra aprir la bocca per dirmi qualcosa. E io penso “ecco ha già capito, ha preso la borreliosi!”. Lui lascia andare la mano del bebito e mi dice:

“Singora, questa non è una zecca. E’ una crosta”.
No, ma va bene, eh! Tutto è bene quel che finisce bene. O no? E poi parliamoci chiaro, ho letto Vogue a gratis e abbiamo scroccato un orsacchiotto. Alla faccia della tranquillità nordica. Ormai l’ho capito: questi nordici non mi avranno mai!


Nel mesto ritorno verso casa, mio marito mi fa notare che lui aveva seriamente sospettato che si trattasse di una crosta. Solo che la mia faccia preoccupata l’ha spinto ad assecondarmi. Praticamente come si fa con i pazzi. Andiamo bene.

p.s. Avevo deciso di tenere segreta tutta questa storia. Poi ho pensato che fosse giusto condividerla. Perché se voi siete di quelle mamme che al primo colpo di tosse del pargolo, già state pensando alla bronchite, tranquille. C’è chi sta peggio di voi.
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