Ci sono stati
biglietti del treno da comprare, valigie da preparare, regali da
incartare e da scartare, bigliettini da scrivere.
Ci sono stati
abbondanti pranzi e cene, dolci e panettoni, amici da salutare e
abbracciare.
E poi ci sono stati
loro: i parenti. Tanti, tantissimi, infinitesimali, tutti così
sorprendentemente diversi tra loro. Tutti entusiasti e impazienti di
vedere lui, il bebito.
Ci sono stati zii, nonni,
cugini (miei) e poi zii, nonni, cugini (suoi) e poi prozii, cugini di
secondo e forse terzo grado. Ci sono state case da visitare: alcune
calde, caldissime, altre fredde, freddissime, alcune degne del
miglior Bauhaus altre che ci hanno catapultati direttamente negli
anni ’40. Ci siamo sentiti dei venditori porta a porta o degli
assidui bevitori di caffè.
Ci sono stati viaggi in
treno e in auto, sballottamenti di qua e poi di là.
C’è stato anche
un mio ritorno alle origini: niente computer, né cellulare per ben
otto giorni. Non per scelta, ovviamente. Nel trambusto della
preparazione dei bagagli ho pensato bene di lasciare il telefonino
sul tavolo della cucina. Forse una dimenticanza freudiana. Approfitto
comunque per scusarmi con parenti e amici che ci hanno visti
apparire, scomparire, riapparire o che non ci hanno visiti mai. Ma
credetemi, più di così non era fisicamente possibile, nell’era
del non-teletrasporto.
E in tutto ciò c’è
stato lui: il bebito. Povera creatura, penserete voi, portato in
tutti i luoghi possibili, trascinato di casa in casa senza tregua,
chissà quanto si sarà stancato.