Cecilia Paredes |
Non so bene spiegarvi perché. E' che gli eventi mi hanno un po' sopraffatta. E senza nemmeno rendermene conto è passato Natale e poi l'anno nuovo e poi siamo in primavera di un anno dopo.
Vi ho lasciati con un ultimo post da delirio. Che immagine da mamma sull'orlo di una crisi di nervi.
Qualcuno può aver pensato che io sia finita in qualche clinica svizzera a farmi curare i nervi.
Son sempre in Svizzera, ma niente cliniche per esaurimenti nervosi.
Ora, il problema principale è che al blog non ci sto più dietro. Ma si era capito, no?
Il bebito ormai parla due lingue e, lasciatemelo dire, core de mamma: è adorabile. Facciamo un sacco di cose insieme e in generale ci divertiamo da matti. Giusto per dirvi che sì, si può. Si può avere un figlio e continuare ad avere una vita spumeggiante. E' così, ve lo garantisco. Perché la mia vita è pure troppo spumeggiante, tanto che non ci sto dietro. Nel senso che tra lavoro, bambino, cose varie ho un'agenda che lasciamostarevà. E giusto per non farmi mancare nulla, ho iniziato una nuova formazione in management culturale. E questo è uno dei principali motivi per cui ho mollato in blog. Appena ho un minuti libero, sono intenta a scrivere mission statement, definire i target di ipotetici progetti culturale e riempire tabelle Excel. Vi prego perdonatemi. Per l'assenza e per la deriva manageriale. Ma che ci vogliamo fare, la mia è sopravvivenza ai tempi moderni.
Di conseguenza...abbandono il blog. In pratica chiudo baracca.
Questo blog esiste praticamene da quando sono diventata mamma e ha continuato ad esistere fino a quando ho trovato una specie di equilibrio interno ed esterno. Un equilibrio tra il me mamma Rosi e il me Rosi e basta.
Diventare genitore è qualcosa di talmente epocalmente sconquassante che è quasi impossibile da spiegare. Bisogna viverlo, insomma. Non so per quale motivo non lo sapessi prima, o meglio, forse lo sapevo, ma non è che mi fosse così chiaro.
E' che a volte le mamme ci appaiono come creature perfette, angelicamente multitasking, che riescono a gestire tutto come se questo gli fosse stato dato in dotazione di base, insieme a tutto il corredo genetico. E quando scopri che per te non è così, ci resti un po' male.
Paul Klee, Mutter und Kind, 1938 |
Ho allattato 22 mesi, ho portato mio figlio nella fascia fino a quando i miei cinquantuno chili e la mia schiena me l'hanno concesso, Ho dormito con mio figlio fino a quando il letto non è diventato troppo piccolo e ora, anche se lui ha quasi tre anni e il letto è comunque rimasto piccolo uguale, lo accogliamo sempre volentieri. Non ho mai lasciato piangere il mio bebé. Mai e poi mai.
Ho optato per l'autosvezzamento ed è stata la scelta più intelligente della mia vita. Il bebito che, ripeto, non ha ancora tre anni, ama la cucina lombardo-ticinese in tutte le sue forme (con un amore spassionato per i passati di verdura, minestroni e minestre) e non disdegna nemmeno quella coreana, indiana, vietnamita, messicana... echipiùneha.
Il mio bilancio Attachement parenting è quindi più che buono.
Nel tempo, però, mi sono anche allontanata dalle visioni "estreme" delle maternità a 360°. Ho imparato a ritagliare spazi per me, per me e mio marito, senza per questo sentirmi in colpa.
Ho sviluppato un lato frivolo e allegro (nei confronti della maternità, di me, del mondo) che pensavo di aver perso dai tempi dell'adolescenza. E invece l'ho ritrovato e, lasciatemelo dire, mi piace molto.
Frederic Leighton, Mother and Child, 1865 |
La maternità mi
ha cambiata in un modo così profondo che a volte, stento persino a
riconoscermi.
La cosa importante di questo percorso è che io e il mio lui, l’abbiamo
fatto insieme, siamo cambiati insieme. E’ strano come per una coppia, la
nascita di un figlio, sia sempre vista come un arricchimento, la creazione di
un nuovo e più profondo legame amoroso.
In realtà un figlio ti cambia così
profondamente che rimette in discussione ogni parte di te, ogni ambito del tuo
mondo. E le coppie che scoppiano, secondo me, sono molte. Solo che nessuno lo
dice.
Noi siamo stati fortunati: ci siamo stretti nella tempesta e ci siamo
innamorati, ancora di più.
Marc Chagall, Place de la Concorde, 1952 |
Scritto tutto ciò, vi lascio dicendovi quello che, riflettendo, ho capito. Ho capito che ne vale la pena.
Diventare
genitori non è un dovere e, ormai a livello sociale, non è nemmeno più indispensabile. Quello che però mi sento di dirvi è: fatelo! Perché è faticoso, ma
è anche fighissimo. E se sarete così furbi e così forti, così pazzi da
lasciarvi cambiare da vostro figlio, da non pensare che “bisogna che tutto
torni al più presto come prima”, da accettare che ormai la vostra nave e
salpata e NIENTE sarà più come prima, allora vedrete che tutto questo essere “nuovi”,
“diversi” vi farà sentire partecipi di una felicità profonda. E’ una felicità
fatta di cose quotidiane, ma che ti apre il cuore, cambia le tue prospettive, alimenta
il senso di tutte le cose. Siamo esseri in divenire e la genitorialità è il
cardine di questo “divenire”.
Per quanto mi
riguarda, per quello che mi sento di dirvi, per quello che io ho vissuto e sto
vivendo, per quello che siamo diventati, per quello che eravamo, io ve lo dico
di nuovo: mi sento una persona migliore. Sempre incasinata, pazza, disordinata,
smemorata e nonostante ciò punto di riferimento, risolutrice di problemi, donna
bionica che riesce a dormire niente e a fare tutto. E sono molto fiera di me. Fiera
di noi.
Ci tengo anche a
dirvi, però, che la mia maternità è stata scelta, pensata. Ho deciso di
diventare madre e di prendermi il tempo per farlo. Nessuno me l’ha imposto: non
la società, non l’amica incinta, non la suocera, non il mio compagno. L’ho
scelto io. E se c’è una cosa che ho capito, durante tutto questo percorso, è
che no, non siamo tutti uguali. Ognuno fa le proprie scelte e ognuno cerca di
trovare il suo equilibrio e la sua voglia di fare e di vivere, in base alla
scelte fatte. Pretendendo rispetto e comprensione.
Pablo Picasso, Madre e hijo, 1963 |
Forse un giorno
il Bebito leggerà tutto ciò che ho
scritto e si farà quattro risate. O
forse lo farà riflettere un po’. O forse non gliene potrà fregar di meno. Ma in
fondo, chissenefrega. Lui farà come meglio vorrà.
Insomma io vi
saluto tutti! E vi ringrazio. Davvero.
Un bacio
Rosi
Henry Moore, |